280 peni di 93animali, per 11.000 visitatori l’anno.

Questi i numeri dell’ Icelandic Phallological Museum a Reykjavík. Un’idea di Sigurður Hjartarson, ex docente, che sembra piacere molto, soprattutto ai turisti. Di musei strani al mondo ce ne sono tanti, ma forse questo è il più bizzarro: non si tratta infatti di un museo erotico ma di una vera e propria collezione di falli, tra cui spicca chiaramente anche il pene umano.

Sempre più popolare anno dopo anno, senza stupore, registra un numero più alto di visitatori di sesso femminile. Nessun maschilismo, nessun perbenismo, ma tanta curiosità verso l’organo genitale maschile. Inzialmente la città di Reykjavìk decise di sostenere finanziariamente il progetto, attirando oltre 5.000 visitatori l’anno, 4.000 solo turisti. L’ex professore non riusciva a mantenere le spese del museo e lo chiuse. Si spostò quindi in un piccolo villaggio di pescatori a nord dell’isola, in un locale di un ex ristorante. Il museo trovò una nuova vita attirando numerosi visitatori e portando benefici anche alla piccola cittadina. Germania e Inghilterra proposero di spostare il museo in una delle loro città, ma Hjartarson ha sempre rifiutato, fedele al suo paese di origine. Nel 2012 i membri sono stati trasferiti nuovamente nella capitale e fu, ancora un successo.

Sicuramente i peni umani son quelli che interessano maggiormente, ricevendo anche proposte di donazione da quattro persone: un islandese, un tedesco, un americano e un inglese (come nelle barzellette). Il primo pene umano presente nella collezione è di Pàll Arason, autodichiaratosi don giovanni in gioventù, che entusiasta della donazione aveva firmato per l’immediata esportazione nel momento della sua morte. Hjartarson spera comunque si trovarne uno più giovane e nel frattempo espone calchi in argento dei peni degli atleti di pallamano, secondi alle Olimpiadi di Pechino 2008. Il fondatore stesso vorrebbe poi che il suo pene venga esposto ma aggiunge: “Se muore prima mia moglie, il mio esemplare andrà alla collezione. Se muoio prima io, non saprei dire: lei potrebbe anche dire di no”.

 

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