In Italia, in ogni regione c’è un modo differente per indicare la vagina. Anche se in realtà ci si riferisce alla vulva. In tanti infatti fanno confusione e anche noi a volte abbiamo usato un nome per un altro, perché è uso nel linguaggio comune e parlando con gli altri avremmo dovuto fare un lungo preambolo. Perché in realtà la vulva rappresenta i genitali esterni di una donna – tutto quello che si vede in pratica – mentre la vagina è più interna e collega appunto la vulva all’utero. Ma perché si utilizzano tutti questi nomi? Se fossimo nel film Il Grande Lebowski, il personaggio femminista di Maude ci direbbe che gli uomini
Si sentono disturbati dalla parola stessa, vagina. […] Non amano sentirla e hanno difficoltà a pronunciarla. Ma fanno tranquillamente riferimento al proprio uccello, o alla verga, o al… cetriolo.
Tuttavia anche le donne utilizzano questi appellativi per la vagina, anche perché molti sono dialettali, non solo gergali, e il dialetto è una delle prime forme di comunicazione che molti di noi apprendono in famiglia da piccoli. Quest’elenco è apparso sotto forma di cartina geografica sul blog de Il Milanese Imbruttito, che però non è riuscito a risalire alla fonte. In qualche caso la grafia dei termini potrebbe essere sbagliata – o l’elenco potrebbe essere lacunoso – per cui vi invitiamo a correggerci nei commenti.
Posto che questi nomi spesso vengano dall’esigenza di non pronunciare direttamente «vagina» o «vulva», è interessante come alcuni di essi forniscano una descrizione precisa e suggestiva di ciò di cui si tratta. Pensiamo a «pertuso» in Basilicata, che significa letteralmente pertugio, buco e quindi ricorre a una sineddoche, la figura retorica che serve a nominare la parte per il tutto. Altri di questi nomi sono invece ardite metafore, come «piccione» in Puglia o «ciola» sempre in Basilicata, che si riferiscono a degli uccelli – l’ultimo termine indica di solito la gazza. Tra le metafore troviamo in Sicilia anche «libbru a doi fogghi», che fa riferimento alle labbra.
Segnaliamo due particolari interessanti dal punto di vista linguistico. Il primo è l’utilizzo di «cunnu» in Sicilia e in Sardegna. In latino, vulva si dice «cunnus». Essendo queste due regioni, dialettologicamente parlando, aree isolate – dal punto di vista fisico Sicilia e Sardegna sono appunto isole – i loro dialetti sono molto conservativi, per questo troveremo forme molto affini al latino. Infine, in Puglia, nel Salento, tra i vari nomi di vagina c’è «picu», declinato al maschile. Nello stesso luogo, uno dei nomi utilizzati per il pene è invece «pica», declinato al femminile.
Valle d'Aosta
Nateua, thorgna, borna.
Piemonte
Sbarzifula, picioca, brugna, bregna, bigioia, neira, ciornia.
Liguria
Petalussa, mussa, belan, ghersa, tacca.
Lombardia
Zinforgna, barbisa, pota, fuinera, bernarda, figa, lurba, passera, fritula, bartagna.
Trentino Alto Adige
Scheide, scham, sbanzega, bortola, barbigia.
Veneto
Sacapel, folpa, mona, sepa, fiora, pataracia.
Friuli Venezia Giulia
Frice, panele, mona.
Emilia Romagna
Brugna, sfessa, obigna, patafiocca, pataia, pisaia, gnocca.
Toscana
Lettera, mozza, lallera, fi’a, potta, cicala, micia, sgnacchera, mimma, topa.
Umbria
Castagna, pecchia, fresca, pipa, fregna, picchia.
Marche
Pasarina, cocchia, cicciabaffa.
Lazio
Ciscia, fregna, sorca, sorega, buscia.
Abruzzo
Mozza, boffa, ciuccia, piciocche, cella.
Molise
Panocchie.
Campania
Fessa, carcioffola, pescia, pesecchia, pisciotta, pepalma, pucchiacca, ciaccarella.
Basilicata
Pertesca, sciorgio, pertuso, ciola, puscio.
Puglia
Pinca, cianno, pescia, pinga, ciunne, cozza, fregne, picu, piccione, patate, curcio, nercio.
Calabria
Ciota, cunnu, nnicchiu, mboffa, fissa, cuniglia.
Sardegna
Proso, cunnu, udda, piricoccu, pinnacciu, pillittu, patanacca.
Sicilia
Paparedda, sarda, nicchio, pilu, cunnu, sticchio, cucchia, faddacca, ciaccazza, obarra, pacchia, libbru a doi fogghi.
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