Quella notte di soprusi allo Stonewall nel 1969 in cui nacque l'orgoglio LGBT
Quello che successe allo Stonewall tra il 27 e il 28 giugno 1969 fu terribile, ma contribuì anche a far nascere l'orgoglio LGBT.
Quello che successe allo Stonewall tra il 27 e il 28 giugno 1969 fu terribile, ma contribuì anche a far nascere l'orgoglio LGBT.
Non è un caso se il 28 giugno sia stato scelto dalla comunità LGBT per celebrare il Pride, l’orgoglio e la rivendicazione del diritto alla propria libertà sessuale.
Perché proprio in quella data di cinquantadue fa, in un locale gay di New York, lo Stonewall Inn., accaddero fatti talmente violenti e antidemocratici da scatenare la reazione, furiosa e appunto orgogliosa, di tutto il mondo omosessuale, che da quella terribile notte volle ripartire per affermare al mondo la propria esistenza, scomoda a molti, e il proprio diritto a esprimere sessualità e amore allo stesso modo di qualunque altra persona.
All’1:20 di quella notte tra il 27 e il 28 giugno del 1969, la polizia irruppe improvvisamente allo Stonewall, al 51 e al 53 di Christopher Street, nel Greenwich Village, che nel 1966 la famiglia mafiosa dei Genovese, dopo essere stato un ristorante e un nightclub per eterosessuali, aveva appunto trasformato in un bar gay; niente di nuovo sotto il sole, gli avventori del locale, in un’epoca in cui baciare una persona dello stesso sesso era severamente vietato e l’omosessualità ancora era considerata una malattia contagiosa, erano abituati alle frequenti retate dei poliziotti, ma quella sera fu tutto diverso.
Generalmente, infatti il tenutario del locale sapeva in anticipo quando le retate sarebbero avvenute, perché era la polizia stessa ad avvertirlo con delle soffiate, e il tutto si risolveva piuttosto rapidamente, permettendo ai clienti di procedere tranquillamente con la serata. Si controllavano i documenti d’identità, quelli che ne erano sprovvisti o erano vestiti da drag queen (che avevano accesso a una sala più piccola nella parte posteriore del locale) venivano arrestati, mentre le lesbiche dovevano mostrare di indossare almeno tre capi femminili per evitarsi l’arresto. Oggi sembrerebbe tutto estremamente discriminatorio e lesivo della libertà individuale, ma all’epoca era normalità, anzi questi potevano essere considerati davvero passi da gigante alla luce della crescita progressiva del movimento LGBT, il quale aveva cominciato a farsi “rispettare” anche dalle forze dell’ordine.
La notte fra il 27 e il 28 giugno, invece, quattro poliziotti si presentarono alla porta dello Stonewall Inn senza che nessuno fosse stato avvertito. Una teoria che motiverebbe la retata a sorpresa, spiega questo articolo, dice che i proprietari e il tenutario dello Stonewall ricattavano alcuni dei clienti più facoltosi, soprattutto quelli che lavoravano nel distretto finanziario e guadagnavano di più dalle estorsioni che dagli alcolici venduti al bar; con la polizia alle costole non potevano più ricevere le tangenti dei ricatti e rubare bond negoziabili, agevolati dalla pressione dei clienti gay che lavoravano a Wall Street, per questo si decise di chiudere in pianta stabile lo Stonewall.
Ma un’altra ipotesi, che inevitabilmente si fa largo nella mente di chi quella notte l’ha vissuta o di chi, solamente, ne ha sentito parlare, non può che orientarsi su un’altra chiave di lettura, quella dove a spingere i poliziotti all’irruzione nel locale e al conseguente scoppio degli scontri fisici fu l’odio mai veramente represso per il mondo omosessuale, e la paura che questa “malattia” potesse diffondersi altrove.
In fondo si sa, quello che non si conosce fa paura, e a quell’epoca, in un’America divisa ancora intimamente dalle segregazioni razziali, con il terrore della Guerra Fredda come spada di Damocle e molte contraddizioni interne, accettare apertamente anche l’omosessualità non era affatto facile.
Forse i poliziotti che diedero vita a quella retata pensarono di poter sopire una volta per tutte le pretese di normalità della comunità gay; non sapevano, invece, che proprio da lì sarebbe partito il riscatto morale e sociale di lesbiche, omosessuali, transessuali e intersex, che quel gruppo avrebbe trovato dalla rabbia e dal dolore di quei soprusi la forza per reagire, e per gridare al mondo tutto il proprio Pride.
Per capire appieno l’importanza di quanto successo allo Stonewall, bisogna partire dalla condizione degli omosessuali all’epoca, notevolmente migliorata tra il 1965 e il 1969 per l’azione di Dick Leitsch, diventato presidente della Mattachine Society, l’associazione per i diritti omosessuali che esisteva prima di Stonewall. Leitsch credeva nelle tecniche di azione diretta di protesta, propugnando il rifiuto dell’integrazione in una mondo giudicato incapace di accettare le diversità e sostenendo che bisognasse fare tabula rasa.
Grazie all’operato di Leitsch cambiò il modo in cui la polizia trattava gli omosessuali: il commissario Howard Leary istruì le forze di polizia affinché non adescassero i gay per spingerli a infrangere la legge, e impose che ogni poliziotto in borghese avesse un civile come testimone quando arrestava un gay. Finì quindi l’entrapment, la pratica dell’adescamento di omosessuali.
All’una e venti di notte di sabato 28 giugno 1969 quattro poliziotti si presentarono alla porta dello Stonewall Inn, più uomini di pattuglia, anch’essi in uniforme: il detective Charles Smythe e il vice ispettore Seymour Pine. I poliziotti gridarono “Polizia! Stiamo occupando il locale!”.
Una volta dentro, la polizia chiese l’appoggio del Sesto Distretto, nonostante non ci fossero motivi per procedere: la musica era stata spenta e le luci accese, e nel bar c’erano più o meno 205 persone.
La polizia confiscava gli alcolici del bar per stiparli negli automezzi di pattuglia, chiedendo agli avventori di restare in fila per una quindicina di minuti. Quelli che non erano in arresto vennero rilasciati e fatti uscire dalla porta principale, ma non se ne andarono come al solito: si fermarono lì fuori, a formare una folla di curiosi sempre più nutrita.
All’arrivo del primo furgone della pattuglia la folla era aumentata, fino a raggiungere almeno le duecento persone. La confusione delle comunicazioni radio ritardò l’arrivo del secondo furgone e, mentre la polizia portava fuori quelli che erano dentro il bar, una persona che stava lì gridò: “Potere ai gay!”, mentre altri iniziarono a cantare We Shall Overcome. Mentre la folla iniziava la sua protesta lanciando monetine agli agenti, gli avventori ancora dentro venivano picchiati.
Vennero coinvolte più di 2000 persone contro 400 poliziotti mentre le drag queen, sfilando sulla strada, urlavano:
Siamo le ragazze dello Stonewall / abbiamo i capelli a boccoli / non indossiamo mutande / mostriamo il pelo pubico / e portiamo i nostri jeans sopra i nostri ginocchi da checche!
Per anni si è creduto che tra le promotrici della protesta ci fu la trans Sylvia Rivera, diventata poi simbolo del movimento LGBT americano, morta nel 2002, grazie al suo “lancio della bottiglia”. In realtà, questo articolo smentisce la teoria.
Sylvia ha sempre detto di essere stata allo Stonewall Inn più di vent’anni dopo, quando cercava di raccogliere fondi per il Trans-Youth Shelter Project (Progetto alloggio per i giovani trans). In un’intervista a questo sito Miss Major Griffin-Gracy, leader per i diritti delle persone transessuali, con una sensibilità particolare per le donne di colore e direttrice esecutiva di Transgender GenderVariant Intersex Justice Project, la cui presenza allo Stonewall è testimoniata in modo inoppugnabile da diversi documenti, disse che né Rivera né Johnson erano nel locale. Anche il defunto Uncle Bob Kohler (un altro di cui è stata verificata la presenza allo Stonewall e amico molto caro di Rivera) non può collocarla allo Stonewall Inn quel giorno, ma solo nei tre giorni di disordini che seguirono. Ci sia stata o no, Sylvia Rivera è stata una grande donna che ha aiutato i giovani senzatetto LGBT ed anche solo per questo è un’eroina. Ma, davanti alla mancanza di prove che collochino Sylvia allo Stonewall Inn durante la retata ‘che lancia la prima scarpa col tacco’, la congettura rimane più una leggenda che un fatto storico.
Questo riporta l’articolo originale di Will Kohler, pubblicato sul suo blog Back 2 Stonewallil 25 giugno 2016.
Furono arrestate 13 persone, mentre tantissimi ragazzi vennero picchiati solo perché “effeminati”, durante le proteste che durarono tre giorni. Cinque giorni dopo la retata, mille persone si radunarono al bar e protestarono, diffondendo volantini e intonando “Via la mafia e gli sbirri dai bar gay!”
L’impatto dei fatti di Stonewall fu enorme: subito dopo la rivolta nacque il Gay Liberation Front (GLF), il primo movimento di liberazione autodefinitosi “gay” e non “omofilo”. Anche nel resto del mondo nacquero associazioni simili, dal Canada all’Australia, mentre in Italia il primo movimento arrivò solo nel 1971.
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