Tutti dovremmo fare coming out.

In barba al pregiudizio, alla discriminazione, all’intolleranza: il messaggio di Carlo Gabardini è forte e chiaro, proprio come quella lettera a Repubblica con cui, il 31 ottobre 2013, dichiarò di essere omosessuale. Voleva scagliarsi contro l’omofobia traendo spunto da un fatto di cronaca terribile, un ventunenne che, a Roma, si era suicidato perché discriminato a causa del proprio orientamento sessuale, è diventato un modo per comunicare al mondo di essere gay. Perché sembra che al mondo importi ancora tremendamente di conoscere i gusti sessuali di una persona, per poi sentenziare se possa essere “accettabile” o no. Ma la realtà, dice Carlo in un video pubblicato sul suo canale YouTube in occasione della presentazione del libro Fossi in te io insisterei (pubblicato nel 2015 e in cui, per sua stessa ammissione, ha scritto un’altra lettera aperta, stavolta indirizzata al padre, unico a non sapere ancora della sua omosessualità), è che ciascuno di noi ha un coming out da fare. E gli omosessuali in questo, guarda un po’, partono avvantaggiati.

Certo, viviamo in una società che ancora si domanda, dalle pagine di un giornale, se sia possibile per un cantante gay scrivere di amore eterosessuale. Come se si trattasse di un sentimento diverso, come se fossero due forme differenti di amore, con quello fra un uomo e una donna idealmente superiore rispetto a quello fra due persone dello stesso sesso.

Con questi presupposti, certo che è difficile dare una svolta all’oscurantismo ideologico in cui molti sono ancora impantanati, e scuoterli dal torpore per cui “gay è sbagliato”. È un odioso, vecchio discorso, quello del disprezzo che ancora aleggia, nemmeno troppo velatamente, al solo sentire le due temute parole: “Sono gay”. Tanto che l’Olmo della storica serie “Camera Cafè” parla di “pugni in faccia”: quelli che sembrano colpire le persone quando, conversando, si riferisce, ad esempio, “al proprio fidanzato”, o fa commenti di apprezzamento a un ragazzo. Come se non potesse essere vero, come se il concetto fosse impossibile, o inaccettabile, appunto.

Un altro grande “cavallo di battaglia” dei discriminatori di professione, poi, Carlo lo illustra in un altro video, parlando di come ancora sia tanto, troppo facile associare l’omosessualità a una malattia. “Eppure” dice l’autore televisivo e attore ” non godiamo di nessuno dei privilegi offerti ai malati, dal parcheggio alle esenzioni del ticket“.

Un modo ironico, spensierato, per alleggerire un argomento su cui troppo spesso ancora il muro dell’ignoranza e del preconcetto è forte e difficile da abbattere; dunque se non puoi combatterli con la forza, combattili con il sorriso.

Questa è la filosofia di Carlo. Capace di dire “Essere gay è una fortuna”. In barba a chi vive l’omosessualità di un figlio, o di un caro, come una piaga mortale, in barba a chi pensa si tratti di qualcosa di “pericoloso e contagioso”. In barba, insomma, a chi sceglie di vivere nel cieco livore della voluta incapacità di comprendere, di aprire gli occhi, preferendo un Medioevo ideologico e mentale duro a morire.

Tutti dovremmo fare un coming out; alcuni, infatti, dovrebbero avere il coraggio di ammettere di essere semplicemente malati di pregiudizio.

Carlo Gabardini: "Perché essere omosessuale non è una malattia, ma una fortuna"
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