"Ho fatto sesso durante l'addio al nubilato con uno sconosciuto"
"Troia!" Avranno già sancito la maggior parte delle persone, solo leggendo questo titolo. Ma io non sono la sposa! "Troia lo stesso!"
“Troia!”
Avranno già sancito la maggior parte delle persone, solo leggendo il titolo di questo pezzo.
“Ma io non sono la sposa!”, potrei provare a giustificarmi io.
“Troia lo stesso!”.
Questo è il motivo per cui non racconto quasi mai, neppure alla mia amica più cara, le numerose serate di sesso con uomini che non solo non arriveranno a mangiare il panettone, ma neppure a bere il caffè la mattina dopo.
Non è il giudizio suo o delle altre amiche la cosa che temo, quanto il loro tentativo di psicanalizzare questo mio “approccio da uomo al sesso”, lo definì una volta M., come se debba essere per forza eredità di qualche trauma infantile o, peggio, un modo di anestetizzare debolezze e complessi mai superati. Non è così e, se lo fosse, non mi sembra neppure un brutto modo per risolvere le proprie fragilità umane..
Faccio sesso, perché mi piace. Punto.
Spesso con più uomini diversi anche in una settimana, visto che non ho un partner fisso e non devo nulla a nessuno.
Ho alcuni trombamici che capita di vedere più frequentemente, gli altri sono partner occasionali che non vanno mai oltre la seconda uscita.
Faccio sesso in modo protetto: non mi tiro in casa persone che non so nemmeno da dove arrivano, uso il preservativo e il solito pirla del “non sento niente” o “ce l’ho troppo grosso per indossarlo” viene messo alla porta subito senza contrattazioni o manfrine varie.
È triste fare sesso in questo modo?! Può darsi che per qualcuno lo sia. Io, personalmente, sto bene così. Il sesso occasionale mi piace, soddisfa i miei bisogni e mi ha regalato più di una serata umanamente ed emozionalmente memorabile (laddove molte con partner regolari non sono sopravvissute all’oblio).
È andata così anche con L.
L’ho conosciuto a bordo piscina in un casale in toscana l’ultima sera del nostro fantastico week end per l’addio al nubilato di M. O forse dovrei dire mattina… visto che io, lui, il barman e pochi altri eravamo tra i pochi superstiti di un sabato sera che aveva ormai da tempo lasciato spazio alla domenica.
La festa finale alla sposa era iniziata nel tardo pomeriggio, poco dopo l’ennesimo tuffo in piscina: al momento di stappare la prima bottiglia di bollicine A. ha tirato fuori dal suo zaino un cerchietto con velo da sposa per M. e quattro con cazzetti di vari colori per antenne per noi “damigelle”.
In assenza della possibilità di annegare A., ho tentato la via della resistenza: non avrei mai messo in testa quella cosa ridicola! Ma quando M., che mi conosce bene, sebbene divertita dai cazzetti molleggiati, ha deciso che io sarei stata l’unica esonerata dall’indossare la tiara fallica e si è infilata tutta felice la sua… ho capitolato.
“Lo sai che è proprio per questo che ti voglio bene?”, mi ha detto M. appena mi sono infilata il cerchietto con i cazzetti blu, segno innegabile che anche io gliene voglio. Tanto.
Cazzetti-luminosi a parte, si era deciso per un week-end di relax, spa e buon cibo in Toscana – niente uomini nudi che saltano fuori dalle torte, per intenderci – e, infatti, il resto della serata è stato come doveva essere: una divertente e un po’ nostalgica cena tra cinque amiche cresciute insieme sin da bambine e diventate donne molto diverse tra loro e, quindi, irrinunciabili l’una all’altra non fosse che per ricordarci a vicenda la strada e la storia che avevamo percorso per arrivare fino a lì.
A questo stavo pensando mentre mi stavo fumando l’ultima sigaretta e bevendo l’ultimo bicchiere di vino toscano. Le ragazze erano salite nelle camere, io avevo deciso di restare lì a godermi il panorama delle colline, l’aria frizzante e dare l’occasione al ragazzo che aveva passato la sera a lanciarmi sguardi e sorrisi di venire a presentarsi.
Peccato non poterci andare a letto.
Mi dicevo, mentre stavo giocando con il vibratore clitorideo Totoro che, per scherzo, avevamo regalato a M., che ancora era convinta l’avessimo presa in giro e fosse tutt’altro, tipo un tappo per bottiglie.
Ci sono le ragazze. Non ho voglia che lo sappiamo, che mi facciano domande e poi siamo qui per M.
E intanto accendevo e spegnevo il coniglietto, premendo gli occhietti, che si illuminavano durante la vibrazione.
La realtà è che avevo voglia di fare sesso e l’idea di farlo con una persona di cui non conoscevo nulla mi intrigava tantissimo. Alla faccia del cliché dell’addio al nubilato a tutto sesso, che ho sempre trovato abbastanza triste. Del resto, al diavolo gli stereotipi: io non ero la sposa!
“La sposa e le damigelle hanno alzato bandiera bianca, tutte tranne una?”.
Mi ha chiesto, dopo essersi staccato dal suo gruppo di amici che, a sua volta, andava sfoltendosi:
“Sì, in camera non mi lasciano fumare. E poi ho ancora il vino”.
Così ho conosciuto L. Mi piaceva il suo modo un po’ impacciato e un po’ antico di corteggiare una donna. Sarà stata colpa della bottiglia di vino a 3/4 abbandonata sul suo tavolo che L. andò a recuperare, incurante delle finte proteste di un paio di amici, fatto sta che mi sono trovata a fare l’alba giocando con un ragazzo forse un po’ più piccolo di me e di cui non sapevo nulla, né ho voluto sapere di più.
Glielo ho detto con aria ingenua e candida, sapendo benissimo che la cosa avrebbe acceso i suoi sensi:
“Facciamo che non ci raccontiamo nulla di noi, tanto siamo troppo ubriachi per ricordarci qualcosa domani. Ti va di fare un gioco?”
Ed eccoci lì, a tacerci le nostre storie e inventarne altre con protagonisti gli ultimi ospiti che si stavano attardando ai tavoli o attorno al bar.
Dal vestito, da un dettaglio dell’acconciatura, da una parola colta al volo o da una smorfia sul volto decidevamo, per ognuna di quelle persone, una storia, delle emozioni e, in alcuni casi, anche un finale.
Quella sera, per quello che ne so, abbiamo fatto divorziare coppie che ancora non sapevano di essere tali, affibbiato il ruolo di amanti a mogli e mariti sposati da tempo, reso fedifraghe spose fedeli…
Cos’è quel coniglietto?
“Un portachiavi”, risposi io.
“Perché vibra?”.
“È un antistress!”.
“Sei nervosa?”, mi chiese lui.
Ho appoggiato il coniglietto e la mia mano sulla sua, così da fargli sentire la vibrazione: “Un po'”.
Siamo restati mano nella mano in silenzio per un po’, con Totoro che ronzava e vibrava sui nostri palmi. Poi lui mi ha detto, senza guardarmi:
“Lo sai che hai un cerchietto con delle antenne a forma di pene in testa, vero?”
No, me l’ero totalmente scordato e, per un attimo, mi sono sentita sprofondare per la vergogna: avevo giocato a fare la femme fatale con un cerchietto di cazzetti blu in testa.
Poi mi è venuto da ridere: “No, cazzo, che vergogna!”.
“Non te lo ricordavi davvero?”.
Gli ho detto no e a quel punto mi ha baciata. Non so perché a quel punto gli ho detto: “Non è un portachiavi antistress”.
Di sicuro a quel punto avevo ormai deciso che avrei “celebrato” il mio personale addio al nubilato di M. a modo mio, quanto a Totoro il vibratore gliene avrei preso un altro: quello veniva con me.
“Lo so. Cioè non ho ancora capito esattamente come si usa ma lo so”.
Detto questo l’ho seguito in camera sua, con il cerchietto in testa e Totoro tra le nostre mani.
Di lui so che si chiama L., fuma Diana blu, forse è più piccolo di me e che fa sesso con dolcezza e fantasia.
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