Sesso anale: 4 falsi miti da sfatare
Sfatiamo i falsi miti sul sesso anale e sulle convinzioni errate che potrebbero condizionarci nel nostro approccio.
Sfatiamo i falsi miti sul sesso anale e sulle convinzioni errate che potrebbero condizionarci nel nostro approccio.
Premessa: per comodità e complessità di descrizione, al fine di non risultare ripetitiva e alternare tutti i pronomi rischiando di confondermi e confondervi, utilizzerò lo schwa. Sarà carino, vedrete.
Non a tuttə piace praticare il sesso anale. In alcuni casi il rifiuto è dettato da convinzioni sociali, culturali e moraleggianti che circondano questo tipo di sessualità, mentre in altri casi è semplicemente una questione di gusti, e va benissimo così.
Ad altre persone invece il sesso anale piace molto, lo trovano divertente, stimolante e appagante, ma allo stesso modo hanno più difficoltà a parlarne, sempre a causa dello stigma che versa su questo tipo di pratica. Sì, purtroppo è ancora così. Vediamo alcuni esempi insieme.
Sfatiamo subito la prima credenza, quella che è intrisa di un certo grado di omofobia interiorizzata e che è soltanto la punta di un icerberg di costruzioni sociali ben consolidate: il sesso anale non riguarda soltanto le persone gay.
Soltanto per dirne una, secondo un sondaggio del National Survey of Sexual Health and Behavior (NSSHB) del 2010, ben il 27% dei ragazzi di età compresa tra 25 e 49 anni ha riferito di aver praticato rapporti anali nell’ultimo anno. Se consideriamo che solo il 4,2% degli uomini in quel campione si è identificato come gay e il 92,2% come etero, questo ci dice che la prevalenza del sesso anale non può essere spiegata da una preponderanza di uomini gay in quello studio.
Notiamo anche che tra le donne della stessa fascia di età, ben il 22% ha riferito di aver fatto sesso anale nell’ultimo anno.
Insomma, il sesso anale può riguardare tuttə, e può essere una pratica molto divertente e piacevole se affrontata nel modo giusto. Basta considerare che ognuno di noi ha un ano e che il sesso anale non è l’unico modo per le persone gay di fare sesso.
Provare a fuoriuscire dagli schemi mentali predefiniti che la società ha costruito per noi potrebbe essere un buon alleato in certe situazione.
La seconda convinzione dura a morire è che il sesso anale sia “sporco”.
Sì, le feci escono dall’ano, ma a rigor di logica, quando le feci raggiungono il retto, potremmo essere già sul punto di andare al bagno, per cui non dovremmo correre particolari pericoli.
Per chi svolge un ruolo ricettivo, trovare forme adeguate di pulizia (vedi il doccino anale) può essere sicuramente utile e permettere a entrambi di poter vivere questo tipo di pratica con maggiore serenità.
In ogni caso, se le feci rappresentano comunque uno scoglio insormontabile, l’uso del preservativo, oltre a essere fondamentale per la protezione dalle MST, sarà utile anche per una pratica più igienica.
Veniamo ora, forse, alla convinzione più resistente, di quelle che si tramandano di generazione e che assumiamo come assunti aprioristici: il sesso anale è doloroso.
Il sesso anale, se fatto male, può essere doloroso. Ma in molti casi lo è anche quello vaginale, se ci pensiamo.
L’ano è ricco di terminazioni nervose, che se da un lato rendono la zona più sensibile, e quindi vulnerabile, dall’altro possono essere lo slancio giusto per provare nuove sensazioni di piacere molto coinvolgenti.
Come per molte cose che riguardano il sesso, la prima cosa è cercare di essere rilassatə. Che forse, in questo caso, è come quando il mio compagno mi dice di stare tranquilla quando sono agitata, sortisce mediamente l’effetto opposto.
Tuttavia, leggere, approfondire e sperimentare può essere sicuramente un utile passaggio per avvicinarci a questa pratica. Per questo, e per tanto altro ancora, vi consiglio i consigli de la_gacta, che sono una sferzata di ottimismo, info utili e rassicurazioni. Un sogno, insomma.
Il consiglio è anche quello di trovare un buon lubrificante e soprattutto di approcciare al sesso anale con gradualità.
Se non ci sentiamo prontə o se vogliamo avvicinarci a questa pratica, cominciare in maniera graduale, attraverso la stimolazione manuale o l’utilizzo di sex toys, potrebbe essere sicuramente un buon tramite.
In una società che sprizza testosterone e mascolinità tossica da tutti i pori, in cui le forme del prestazionale e della muscolarità di pornografica memoria sono al centro delle visioni sul sesso, l’idea che qualcunə possa essere ricettivə, peggio mi sento se parliamo di un uomo, peggio vi sentite voi se parliamo di un uomo eteronormato, rende il gioco bello e chiaro.
L’idea di passività è legata alla debolezza, al pregiudizio culturale dell’assoggettamento e della sottomissione nelle pratiche di potere, è forse lo stereotipo e il vincolo maggiore, sebbene sia quello meno elicitato quando si parla di sesso anale.
Se parliamo di donne, il discorso magicamente cambia. Fosse altro che nasciamo nella storia con una “naturale” connotazione passiva, ricettiva, per cui a parte il giudizio che vede nella donna che pratica sesso anale, una persona di facili costumi, non ci sono particolari problemi.
Per l’uomo, invece, il discorso è molto più complesso. E questo è un problema; un problema che vincola ed esclude gli uomini da pratiche di piacere (avete mai sentito parlare di “stimolazione prostatica”?) per condizionamenti sociali che limitano anche solo la pensabilità e le fantasie. Brutta storia, non trovate?!
Questi, ovviamente, sono soltanto alcuni degli aspetti più problematici della nostra cultura di appartenenza.
Una cultura che ci racconta troppo spesso secondo stereotipi difficili da scardinare, ma che forse è arrivato il momento di ridiscutere e ridefinire alla luce di una complessità maggiore.
In ultimo, ricordiamoci SEMPRE che qualunque pratica sessuale deve essere sempre condivisa da tutte le persone in gioco, e il consenso deve essere sempre al centro di tutte le nostre visioni.
Quindi no, se ti avvicini all’ano del partner senza che l’altra persona ti abbia manifestato desiderio e volontà che questo accada, stai commettendo un abuso. Se spingi, emotivamente, per far sì che l’altra persona ti accontenti, stai commettendo un abuso.
E sì, ogni pratica, qualunque essa sia, deve avere al centro il rispetto della volontà, dei tempi e dei ritmi dell’altrə.
Psicologa, femminista intersezionale, creatrice del progetto "Ivg, ho abortito e sto benissimo".
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