Transfemminismo: per chi pensa che una donna trans sia meno donna
Transessuali e persone non binarie possono trovare nel transfemminismo il movimento di lotta anche per le loro istanze: ecco di che cosa si tratta.
Transessuali e persone non binarie possono trovare nel transfemminismo il movimento di lotta anche per le loro istanze: ecco di che cosa si tratta.
Come riporta Pasionaria, il transfemminismo si occupa di tutte le questioni femministe inerenti il controllo del corpo e la violenza di genere. Quindi si tengono presenti le istanze femministe su temi come aborto sicuro, chirurgia dei genitali, uso di ormoni ma anche psichiatrizzazione, sessualità non a scopo riproduttivo, nuove forme di genitorialità, pinkwashing e molto altro.
In pratica, il transfemminismo si rivolge in particolare a donne e trans – ma anche al resto del mondo queer – o più in generale alle persone che non si riconoscono nella binarietà di genere. Queste persone rappresentano una fetta di popolazione non trascurabile con problematiche specifiche.
La popolazione transgender è stimata in una percentuale compresa tra lo 0,5 e l’1,2% della popolazione. I dati in Italia, secondo quanto riporta Repubblica, sono aggiornati al 2011 e parlano di 424 donne transessuali e 125 uomini transessuali – i non binari non sono neppure menzionati. Transgender e non binari sono spesso anche esclusi da statistiche e studi scientifici, eppure la loro percentuale non è trascurabile e per questo soffrono a causa del modo binario di concepire il mondo.
The Equality Institute riporta come il 60% dei transgender ha denunciato discriminazioni per l’uso di bagni e spazi pubblici, il 42 ha riferito di aver ricevuto una cattiva valutazione in ambito medico, il 22% non ha ricevuto parità di trattamento da un ente o un funzionario governativo.
Le donne transgender possono essere colpite da una doppia discriminazione: in quanto donne e in quanto trans. Ne parla Julia Serano – attivista che ha portato a termine la sua transizione nel 2002 – nel romanzo Whipping Girl. Questo romanzo-manifesto parla di transmisoginia, collega la transfobia al sessismo e invita a ripensare gli atteggiamenti verso la femminilità.
Dopo la transizione – ha detto Serano al New York Times – ho sperimentato una combinazione di discriminazione – in quanto persona transgender e anche in quanto una donna. Trans-misoginia descrive questa complessa interazione tra transfobia e misoginia che le donne trans devono affrontare.
Si tratta di un femminismo nuovo o relativamente nuovo – tenendo presente anche che il fenomeno della transessualità è tale per via dei progressi della scienza e della medicina – sebbene, anche precedentemente agli anni 2000, siano esistiti fenomeni più o meno diffusi legati alla non binarietà, come il travestitismo (per esempio nella cultura del “femminiello” in alcune zone d’Italia).
La prima definizione di transfemminismo è datata 2001, a firma dell’attivista transessuale Emi Koyama, che ne scrisse il manifesto. Secondo Koyama, il transfemminismo è lotta per la liberazione delle trans legata alla liberazione delle altre donne e non solo, tanto che il movimento è aperto a tutti coloro che si vogliano alleare.
Se negli anni ’70, ’80 e ’90 i transgender e i non binari sono stati ragione di scandalo o derisione in film e sitcom, oggi sono sempre più nel mondo dello spettacolo: tra loro ci sono attori e attrici come Laverne Cox di Orange Is the New Black, Hunter Schafer di Euphoria, Lachlan Watson di Le terrificanti avventure di Sabrina o ancora l’italiana Alessandra Di Sanzo di Mery per sempre.
E da qualche anno la modella trans Valentina Sampaio è un angelo di Victoria’s Secret. Nell’attuale giunta comunale di Roma c’è anche la prima assessora trans: si chiama Cristina Leo. Molto celebre è anche Caitlyn Jenner, che ha terminato la sua transizione nel 2015: prima si chiamava Bruce ed era un atleta olimpico.
Un punto importantissimo su cui questo movimento si batte è l’arbitrarietà dell’attribuzione di genere alla nascita. Una delle questioni più vaste e interessanti riguarda il linguaggio: le parole devono riflettere il rispetto per tutte le persone e non la sua assenza culturale. Così, come le femministe in generale si battono affinché i nomi delle professioni siano declinati al femminile (ministra, sindaca, architetta, avvocata, eccetera), anche qui si invoca un’attenzione maggiore e un linguaggio che entri sempre più nella cultura e nelle abitudini quotidiane.
Mentre tuttavia i mestieri al femminile sono già presenti nella lingua in quanto lingua neolatina, non esiste nella nostra lingua un pronome per definire trans o persone non binarie con certezza. Gli anglofoni hanno il «they» o «them», noi no. Per questo è bene chiedere alla persona con cui ci rapportiamo il pronome che preferisce. Dovrebbe essere una pratica comune, eppure le cronache ci restituiscono storie in cui la mancanza di rispetto passa innanzi tutto da questo: negli ultimi anni la questione ha fatto scalpore perché ha coinvolto talvolta l’opinionista ed ex parlamentare Vladimir Luxuria, ma siamo certe che succeda spesso anche a persone che non sono celebri.
Un’altra istanza importante è quella relativa ai genitali, che si spogliano finalmente del simbolismo archetipico per diventare altro, per trasformarsi in un cavallo di Troia verso l’apertura e la conoscenza. Il pene non è più un simbolo di virilità – talvolta tossica – così come la clitoride viene declinata anche al maschile. E lo stesso capita con la vagina.
Quando si parla di femminismo, ci si riferisce erroneamente esclusivamente a quello della Seconda Ondata, più esclusivo e fondato sulla lotta al patriarcato. Il transfemminismo è più moderno, inclusivo, rispettoso in primis di coloro che non si rivedono nel genere che è stato loro attribuito alla nascita.
Eppure, anche tra le femministe, ci sono state persone che hanno respinto il rispetto della transessualità e della non binarietà. Come se solo chi è donna dalla nascita e per attribuzione possa farsi portavoce di determinate battaglie.
Una donna trans – spiega l’attivista Antonia Caruso su Pasionaria – potrebbe avere un passato da uomo brillante che ha sfruttato al massimo i proprio privilegi maschili: si può soffrire per la propria condizione ed essere allo stesso tempo altamente funzionali. Le persone trans sono maestre della dissimulazione del disagio. Ma relegare una categoria di persone in una zona di segregazione senza possibilità di miglioramento o di inclusione per cause biologiche e morfologiche è la stessa matrice del razzismo.
Le critiche mosse dalle femministe ai transgender, in particolare a chi effettua una transizione da uomo a donna, partono, secondo il New York Times da un assunto. In pratica, alcune femministe pensano che le donne transgender abbiano avuto una vita facile quando erano uomini. Inoltre ci sono alcune femministe britanniche – in base a quanto riporta ancora il Nyt – che credono che l’accettazione dei trans possa portare a una cancellazione del femminino. Si finisce però per domandarsi se questa non sia una forma di transfobia.
Riguarda il modo in cui il mondo ci tratta – ha detto la femminista Ngozi Adichie – e penso che se hai vissuto nel mondo come un uomo con i privilegi che il mondo accorda agli uomini e poi cambiare sesso, è difficile per me accettare che poi possiamo equiparare la tua esperienza con l’esperienza di una donna che ha vissuto dall’inizio come una donna e che non ha ottenuto quei privilegi degli uomini.
Ma esiste un modo giusto per essere donna? Non tutte le femministe vogliono escludere i transgender dalla lotta per i diritti, anzi ce ne sono alcune che pensano che i trans abbiano molto da insegnare. Una di queste cose che ci possono insegnare è liberarci dagli stereotipi: non esiste un solo tipo di femminilità e ripensare a un mondo che sia non necessariamente binario può aiutare.
Vorrei vivere in un incubo di David Lynch. #betweentwoworlds
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