L’11 ottobre è il Coming Out Day: che non è, attenzione, la giornata per ricordare che omosessuali, bisessuali, pansessuali e via dicendo devono fare coming out, ma solo un modo per sensibilizzare ed educare al rispetto di sessualità diverse.

Un’occasione per imparare ad abbattere stereotipi e discriminazioni insomma, di cui tutt’oggi abbiamo tanto bisogno; perché, diciamoci la verità, se molti omosessuali o bisessuali ancora trovano difficoltà nell'”uscire allo scoperto” come tali, è perché culturalmente e socialmente molti di noi sono improntati a pensare alla sessualità in un’unica maniera, quella etero, stigmatizzando tutto ciò che non rientra nella cornice del “tradizionale” o “moralmente accettabile/consentito”.

Si chiaro: non esiste un obbligo, legale o etico, per cui un omosessuale, un bisessuale, un transessuale o un pansessuale debbano dichiarare al mondo i propri gusti intimi, esattamente come un eterosessuale non deve specificare di esserlo.

Ma chi fa coming out, generalmente, lo fa proprio per educare all’accettazione della diversità, soprattutto nel caso delle celebrity, che ovviamente vengono prese ad esempio positivo e come modelli capaci di influenzare e ispirare la massa.

In molti casi, però, lo fa soprattutto per essere in pace con se stesso, per non doversi “nascondere” (che già di per sé è un’idea bruttissima che ci fa rendere conto di quanto ancora sia forte la demonizzazione delle sessualità considerate “diverse”), e c’è da dire che il processo si rivela spesso tutt’altro che facile, vuoi perché talvolta è complicato accettare in primis se stessi, vuoi perché non tutti provengono da famiglie mentalmente aperte.

Queste complicazioni sono poi acuite nel caso dei bisessuali, come sottolineato da una ricerca condotta dalla Stanford University, riportata in questo articolo, secondo cui solo il 19% di chi si definisce bisessuale ha fatto o vorrebbe fare coming out con le persone più importanti della propria vita. Nel caso degli omosessuali, la percentuale sale addirittura al 75%.

Perché è così difficile dichiararsi bisessuali? Anzitutto, molte persone hanno la percezione che non sia importante rendere la propria famiglia partecipe di una situazione che è giudicata complessa; come afferma la giornalista Laura Ingram in un pezzo per Star Observer, un bisessuale che si dichiara è un bisessuale che subisce discriminazioni, sia da chi ti vede attratto da persone del tuo stesso sesso, sia da chi, queer, non ama particolarmente l’idea che tu possa frequentare persone del sesso opposto.

Insomma, si sbaglia in qualunque modo, sembrerebbe dire la Ingram.

Questo dato ne conferma un altro, quello secondo cui l’88% dei bisessuali intervistati vive una relazione con individui del sesso opposto, nonostante il 43% si definisca attratto ugualmente da uomini e donne, il 12% principalmente da individui dello stesso sesso. 

Per questo fare coming out potrebbe rivelarsi importante per la persona, non per gli altri (che non dovrebbero preoccuparsi della nostra vita intima). Perché spesso, come detto, si fatica soprattutto ad accettare se stessi e l’idea di non essere così facilmente inquadrabili come noi vorremmo. Che fare allora?

Non è facile trovare persone che possano ascoltarci e comprenderci senza giudicarci; no, neppure i genitori, che spesso anzi sono quelli che dimostrano di “accusare” maggiormente il colpo. Molto interessante è questa testimonianza.

Così come quelle dei ragazzi e ragazze che hanno accettato di raccontarci il loro coming out con amici e parenti, le cui storie abbiamo raccolto in gallery.

"Mamma, papà, sono bisex": la reazione di 6 genitori al coming out dei figli
Fonte: gay.it
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