Perché il messaggio del "preservativo del consenso" è sbagliato
Il «preservativo del consenso» è l'ultima trovata in fatto di marketing. Ma la violenza sessuale non c'entra con il marketing.
Il «preservativo del consenso» è l'ultima trovata in fatto di marketing. Ma la violenza sessuale non c'entra con il marketing.
Sapete cos’è il «preservativo del consenso»? Si tratta di un profilattico, ideato e prodotto da un’azienda argentina di nome Tulipan, che viene venduto avvolto in un packaging decisamente peculiare: per scartare il condom, ci vogliono quattro mani. L’idea può suonare carina e divertente sulle prime, ma in un certo senso è profondamente sbagliata. È sbagliato che un abuso sessuale venga liquidato con un’idea di marketing, carina e divertente quanto vogliamo. È sbagliato che qualcosa di tanto complesso come il sesso si riduca a un packaging-rompicapo.
Ne parla diffusamente Cosmopolitan, che analizza come anche delle esponenti del movimento #MeToo abbiano preso parte al dibattito.
Facciamo un passo indietro però, per capire meglio. Il movimento #MeToo, come altri movimenti simili che si sono sviluppati in tutto il mondo negli ultimi due anni ha un grosso merito: quello di aver posto l’accento sulle molestie e le violenze sessuali, cercando di eliminare tutti i retaggi («se l’è cercata», «cosa indossava la vittima» oppure «perché era in giro a quell’ora») e di far comprendere come cose simili accadano ogni giorno, laddove un rapporto di potere – per esempio in ambito lavorativo – può degenerare per colpa di un uomo che ha ben poco di umano.
Accanto alle conquiste del #MeToo – sì, la prima è che se ne parli finalmente, anche parlare di certi argomenti è una conquista – si sono sviluppati altri fenomeni che ci fanno sorridere sulle prime, ma che in realtà costituiscono un’eccessiva semplificazione di quello che la violenza sessuale rappresenta. Per esempio sono sorte app per rilevare il consenso a fare sesso, un dispositivo luminoso a questo scopo e ora anche il preservativo del consenso.
Peccato però che il consenso non sia aprioristico e nemmeno monolitico.
Il consenso – scrive Julia Pugachevsky sulla testata – vive nelle sfumature dell’interazione umana.
Una donna può dire di no sempre. Può dire di no ore prima di un probabile rapporto, può dire di no prima che lui tiri fuori un profilattico, può dire di no mentre il profilattico lo sta tirando fuori lei stessa. Può dire di no perfino durante la penetrazione – magari perché il rapporto sta risultando doloroso o sgradevole. Il no è un diritto, è il diritto a essere padrone del proprio corpo e a farlo rispettare.
Ma sapete chi non rispetta il corpo delle donne? Gli stupratori non lo fanno. Tanto che sembra assurdo che uno stupratore usi perfino un profilattico prima della violenza, come rimarcano sui social le femministe del #MeToo. Inoltre, il preservativo del consenso può diventare un’arma a doppio taglio, facendosi eventuale “prova” del consenso femminile, qualora s’intentasse una denuncia per violenza.
Non lo sarebbe nemmeno se fosse vera la collaborazione nell’aprire la scatola (perché, come detto, il consenso può essere negato anche dopo), figuriamoci dunque se il suddetto packaging è fatto di cartone. Complicato quanto si vuole, ma di sicuro non così impossibile da aprire da soli.
Come detto, però, il consenso sessuale non corrisponde alla firma di un contratto, a una spunta su un’app e nemmeno in un preservativo aperto. È molto più volubile, mutabile e complesso ed è gestibile solamente attraverso una comunicazione sana e rispettosa tra i due amanti.
Per carità, li preservativo del consenso resta comunque un’idea carina e divertente, ma è solo un’idea di marketing, niente di più, non uno strumento per abbattere la violenza, che non è né carina né divertente.
Vorrei vivere in un incubo di David Lynch. #betweentwoworlds
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