Cosa determina il fatto che una persona sia gay? La risposta della scienza

Perché alcune persone sono gay? Lo studio più approfondito mai portato avanti finora sul tema ha dato una risposta genetica. Attenzione però: non esiste un "gene dell'omosessualità", e ci sono altri fattori che determinano la sessualità di una persona.

Gay si nasce o si diventa? C’è un modo per “tornare indietro” e smettere di essere omosessuali? Alcuni comportamenti possono influenzare altre persone a diventare gay? Un bambino che gioca con le bambole sarà omosessuale?

Questi, e molti altri, i quesiti che da sempre girano attorno alla sfera omosessualità; alcuni frutto di un curioso interesse per la sociologia e la psicologia umana, altri pregni dell’ignoranza figlia di retaggi culturali discriminatori davvero duri a morire.

Ma la verità, sulla questione, è rimasta sempre e comunque piuttosto nebulosa, proprio perché troppo condizionata da ragioni e considerazioni extra-scientifiche e inficiata, nel ragionamento, da pareri e opinioni aventi a che fare con la morale, l’etica, il perbenismo, la pruderie e chissà cos’altro ancora.

Oggi, però, uno studio, il più grande nel suo genere, ha stabilito che la genetica ha un ruolo nel comportamento sessuale delle persone. Condotto da Broad Institute of MIT e Harvard e riportato in un articolo del New York Times lo studio è giunto alla conclusione che la genetica sia responsabile, forse per un terzo, del fatto che si abbiano rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso.

Anche se, naturalmente, i geni non sono l’unico fattore che incide in qualche modo sulla sessualità.

Lo studio e le polemiche

Fonte: web

Va chiarito, prima di tutto, che a influire sulla sessualità individuale non è un solo gene, ma diversi, ciascuno con un piccolo effetto, mentre il resto dipende da fattori sociali e ambientali; perciò, se casomai vi fosse venuto in mente, sappiate che è impossibile prevedere la sessualità di qualcuno attraverso un’analisi genetica.

Questa precisazione è doverosa soprattutto alla luce delle preoccupazioni scatenatesi, dopo la pubblicazione dello studio sulla rivista Science, all’interno dello stesso Broad Institute; preoccupazioni degli scienziati della comunità LGBTQ fondate sul fatto che diffondere la notizia che i geni incidano sulla formazione della sessualità di una persona potrebbe scatenare ulteriormente pregiudizi e discriminazioni, con gli attivisti anti-gay che potrebbero richiedere l’editing genetico o la selezione dell’embrione. Cosa che, lo ripetiamo, è tecnicamente impossibile.

Ma i timori sono basati anche sul fatto che  l’evidenza che i geni svolgano solo un ruolo parziale nello sviluppo sessuale potrebbe incoraggiare le persone che insistono che essere gay sia una scelta, e che sostengono tattiche come la terapia di conversione.

Non sono d’accordo sulla pubblicazione di questo – ha dichiarato Steven Reilly, un genetista e ricercatore che fa parte del comitato direttivo del gruppo LGBTQ dell’istituto, Out @ Broad – Sembra qualcosa che potrebbe essere facilmente frainteso. In un mondo senza alcuna discriminazione, la comprensione del comportamento umano è un obiettivo nobile, ma non viviamo in quel mondo“.

Ma Benjamin Neale, genetista presso il Broad Institute of MIT e Harvard e uno dei principali ricercatori del squadra internazionale, ha specificato: “Sono ancora preoccupato del fatto che lo studio possa essere deliberatamente utilizzato in modo improprio per far avanzare programmi di odio, ma credo che il modo proattivo in cui ci siamo avvicinati al tema sia molto importante“.

Lo studio, basato sui dati genetici di 408.000 persone, uomini e donne, prese da un ampio campione messo a disposizione dalla U.K. Biobank, e finanziato dal National Institutes of Health e da altre agenzie, è stato condotto sottoponendo gli intervistati a domande sulla salute e sul comportamento tra il 2006 e il 2010, quando avevano un’età compresa tra 40 e 69 anni. I ricercatori hanno anche usato dati provenienti da quasi 70.000 clienti del servizio di test genetici 23andMe, che avevano 51 anni in media, per lo più americani, e avevano risposto alle domande del sondaggio sull’orientamento sessuale.

Tutti i partecipanti erano di origine europea bianca, cosa che, sottolineano gli stessi autori dello studio, limita la generalizzabilità della ricerca, e le persone trans non sono state incluse.

I ricercatori si sono concentrati principalmente sulle risposte a una domanda: se qualcuno avesse mai fatto sesso con un partner dello stesso sesso, anche una volta.

Una percentuale molto più elevata del campione 23andMe – circa il 19% rispetto al 3% del campione Biobank – ha risposto affermativamente, una differenza probabilmente correlata a fattori culturali, o al fatto che il sondaggio specifico sull’orientamento sessuale 23andMe potesse risultare più interessante per le persone LGBTQ .

Nonostante i suoi limiti, la ricerca è sicuramente decisamente più ampia e più varia rispetto ai precedenti studi, che si concentravano generalmente su uomini gay, spesso gemelli o imparentati.

Il ruolo dei geni

Il nuovo studio ha scoperto che probabilmente tutti gli effetti genetici rappresentano circa il 32% della componente che spinge qualcuno ad avere rapporti con una persona dello stesso sesso. Usando una tecnica di big data chiamata “genoma-wide association” (associazione di tutto il genoma), i ricercatori hanno stimato che le varianti genetiche comuni – le differenze di una sola lettera nelle sequenze di DNA – rappresentano tra l’8% e il 25% del comportamento omosessuale, mentre ciò che resta per arrivare al 32% potrebbe dipendere da effetti genetici non misurati.

I ricercatori hanno identificato specificamente cinque varianti genetiche presenti nel genoma completo delle persone che sembrano essere coinvolte nel processo, ma che rappresentano solo circa l’1% degli effetti prodotti, quindi assolutamente non predittive. I ricercatori hanno stabilito che due delle cinque varianti si trovano solo nei maschi, una è stata scoperta solo nelle femmine. Una delle varianti maschili potrebbe essere correlata al senso dell’olfatto, che è coinvolto nell’attrazione sessuale, secondo i ricercatori, mentre l’altra variante è associata alla calvizie maschile e si trova vicino ai geni coinvolti nella determinazione del sesso maschile.

Ad ogni modo, gli scienziati hanno spiegato che è impossibile utilizzare i marcatori genetici per prevedere la sessualità delle persone.

Dato che prevediamo che la somma degli effetti che osserviamo varierà in funzione della società e nel tempo, sarà sostanzialmente impossibile prevedere la propria attività o orientamento sessuale solo dalla genetica“, ha affermato Andrea Ganna, primo autore dello studio.

La ricerca ha anche suggerito che la genetica del comportamento omosessuale abbia una certa correlazione con i geni coinvolti in alcuni problemi di salute mentale e tratti della personalità, ma gli autori dello studio motivano questo elemento con il fatto che le persone omosessuali possano riflettere lo stress, a livello genetico, del dover portare con sé un pregiudizio sociale.

Lo studio, sottolineano gli autori, non suggerisce affatto che il comportamento omosessuale causi o sia causato da queste condizioni o caratteristiche, ma evidenzia invece che depressione o disturbo bipolare possano essere alimentati da esperienze sociali pregiudizievoli.

A ogni modo, come detto, la genetica non è l’unico fattore che incide sulla sessualità.

Il ruolo dei fattori sociali e culturali

Fonte: web

Proprio rispetto alla discriminazione sociale, il dottor Neale ha affermato che i partecipanti allo studio più giovani hanno molte più probabilità rispetto a quelli più anziani di avere esperienze omosessuali, probabilmente riflettendo una maggiore accettazione sociale. Lui e gli altri ricercatori hanno notato che i partecipanti più anziani hanno raggiunto la maggiore età quando il comportamento omosessuale era considerato un crimine in Gran Bretagna, e che per gran parte della loro vita l’omosessualità è stata classificata come un disturbo psichiatrico.

Lo studio ha rilevato differenze nette tra i partecipanti più adulti e più giovani rispetto al modo di parlare dell’omosessualità, cosa ascrivibile a una notevole influenza del contesto storico, ambientale e culturale in cui le persone sono cresciute.  Le persone immerse in una cultura che demonizza l’omosessualità, dicono i ricercatori, potrebbero avere il coraggio di rivelarlo in uno studio solo se spinte da un proprio “coraggio” personale.

Per questo, a interferire rispetto allo sviluppo naturale della propria sessualità concorrono anche fattori che vanno al di là della genetica, come l’ambiente sociale e culturale in cui ci si trova.

L’omosessualità non è un’anomalia

Dallo studio è emerso un dato forse scontato, ma importante.

Naturalmente non hanno trovato un gene gay – non ne stavano cercando uno.

Ha affermato Dean Hamer, un ex scienziato del National Institutes of Health che ha condotto il primo studio di alto profilo identificando un legame genetico con l’essere gay nel 1993, che si è dichiarato felice di vedere un così grande sforzo di ricerca.

Robbee Wedow, un membro del gruppo di ricerca che appartiene anche a Out @ Broad, nello studio è stato il ponte di collegamento tra i ricercatori e i loro critici del Broad Institute.

Sono cresciuto in una famiglia evangelica altamente religiosa – ha dichiarato il dottor Wedow, ricercatore presso il Broad Institute e il dipartimento di sociologia di Harvard – A lungo mi ha confuso il fatto di non essere attratto dalle donne e di essere attratto dagli uomini, e la convinzione che fosse un peccato e che sarei andato all’inferno. Ho sicuramente provato a negarlo, ho cercato di piacere alle ragazze, ho cercato di avere delle ragazze. Non era qualcosa che io, tra tutte le persone, avrei scelto. Ci deve essere una sorta di background biologico“.

Dire ‘scusa, non puoi studiare questa cosa’ la rafforza come tema da stigmatizzare.

Infine, anche Zeke Stokes, Chief Program Officer di GLAAD, a cui sono stati mostrati i risultati diversi mesi fa, ha dichiarato: “Chiunque sia LGBTQ sa che la sua identità è complicata e avere la scienza in qualche modo a dimostrarlo è una cosa positiva“.

Per concludere con le parole del dottor Neale

La diversità è una parte naturale della nostra esperienza ed è una parte naturale di ciò che vediamo nella genetica. Trovo che sia davvero bello.

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