Quello che segue non è frutto di una sola esperienza personale. Si tratta in realtà di insegnamenti che ho imparato attraverso anche le storie, le confidenze, gli sfoghi e le statistiche altrui. Inoltre non ha alcuna pretesa di verità assoluta. Se c’è un campo talmente variegato che non può sopportare dogmi quello è proprio il sesso. Prendete perciò quanto segue come una riflessione personale valida solo per i protagonisti, che forse vi potrà annoiare, stupire o chissà, persino insegnare qualcosa.

In passato, quando il sesso aveva smesso da poco di essere una frenetica novità, frequentavo una ragazza che sin dal principio si era dichiarata anorgasmica, ovvero incapace di raggiungere l’orgasmo.

Non ricordava di averne mai avuto uno.

Mi dispiacque e lo confesso: non pensai di poter essere quello in grado di compiere il miracolo. E il mio dispiacere non era solo altruismo. L’assenza dei suoi orgasmi minava anche la mia soddisfazione. Il piacere di dar piacere è in fondo una componente fondamentale nel sesso.

E questo fu forse il primo insegnamento che imparai, anche se banale.

Nonostante le mie scarse aspettative, il miracolo però avvenne. Riuscii a farla venire, tra fuochi d’artificio e rinvigorito orgoglio. Solo dopo capii del gran casino in cui mi ero appena cacciato.

Perché se prima i suoi orgasmi erano posti al di là di ogni possibile capacità umana, tanto che era inutile preoccuparsene, ora invece li avevo fatti rientrare appieno tra le mie responsabilità. Anche con un solo orgasmo avevo dimostrato che lei non aveva nessun impedimento fisico. Evidentemente i problemi erano altri, tra cui di certo i suoi partner precedenti. Avevo dunque guadagnato il titolo di amante migliore, ma sarei stato in grado di mantenere il primato?

Scoprii infatti che, seppure non fosse anorgasmica, farle raggiungere il climax non era comunque affatto facile. Sulla carta non sbagliavamo nulla e all’epoca avevo dalla mia parte persino l’energia della gioventù, ma era inutile negarlo: i suoi lieto fine erano un’eccezione alla regola. Inoltre, avendo assaggiato “il frutto proibito” era ormai conscia di quanto fosse ingombrante il paragone tra un rapporto e l’altro.

Iniziai quindi a prendermela con me stesso: se a volte ci riuscivo, com’è possibile che non ci riuscissi sempre?

Ma, si sa, l’ansia è nemica di ogni prestazione. E arrabbiandomi con me stesso stavo anche innescando un perfido circolo vizioso, in cui fomentavo anche il suo senso di colpa.

Fu a quel punto che capii che per uscire da quest’asfissiante situazione avrei dovuto togliere dal piedistallo il fulcro della sessualità maschile: il pene.

Imparai cioè che per riuscire a farla venire dovevo innanzitutto smettere di penetrarla.

Quindi via libera alla masturbazione reciproca, ai sex toys, all’impegno (vero) in lunghi preliminari e al sacro e portentoso cunnilingus che tante soddisfazioni ci ha dato.

Fu una constatazione che per chi ha una normale dimestichezza con la sessualità pare scontata, ma calcolate che all’epoca eravamo giovani e l’educazione sessuale che la società ci aveva offerto si limitava al manuale di istruzioni per il preservativo.

Nessuno insegna ai giovani come sia davvero il sesso. Da un lato vi è il canone ortodosso che prevede un numero (molto) limitato di atti “consentiti”, dall’altro il porno, che ammantato dal velo della perversione, in realtà  propina spesso un altro tipo di canone, altrettanto limitato.

In ogni caso la nostra nuova “strategia” funzionò. Gli orgasmi aumentarono e mi resi quindi conto di quanto fosse fragile la supremazia del pene. “Usarlo” serve molto più a noi che alle nostre partner.

Pare quindi che la storia sia già arrivata al lieto fine, ma vi è ancora un grande insegnamento che dovevo imparare.

Perché forte della convinzione di aver trovato il Sacro Graal delle arti amatorie, ogni rapporto si era trasformato in una competizione con me stesso. Dovevo farla venire, altrimenti “avrei perso”. Questo col tempo iniziò ovviamente a gravare sul nostro rapporto.

Interpretavo i suoi “dai oggi vieni solo tu” come sconfitte personali, come rese giusto un gradino più dignitose di un orgasmo finto. Perciò la ignoravo, stupidamente convinto di agire per il suo bene. Avevo chiaramente torto.

E fu allora che imparai la lezione più importante: l’ascolto. Quello vero.

Se davvero volevo soddisfare la mia compagna avrei dovuto iniziare ad ascoltarla. Se preferiva evitare la caccia all’orgasmo, avrei dovuto assecondarla. Ci volle tempo e il suo calo del desiderio per farmi capire che stavo sbagliando.

Il punto è che pensavo all’orgasmo ragionando da uomo. Per noi (parlo di rapporti eterossessuali in cui l’uomo ha ruolo attivo) l’orgasmo coincide con il sesso. Tanto che quando arriva, poi il rapporto termina (almeno per qualche minuto, per i più prestanti). È difficile quindi pensare al sesso senza avere l’obiettivo dell’orgasmo. Quando non riusciamo ad averlo è perché manca l’erezione e senza l’erezione non c’è sesso. Siamo creature limitate in fondo.

Tuttavia, capii che per la donna non funziona automaticamente così.

L’orgasmo non è il centro di tutto. È meraviglioso e potente (molto più del nostro) ma per lei funzionava allo stesso modo dei riflessi nello specchio di Albus Silente: se lo si desidera a tutti i costi, non lo si avrà mai.

Capii quindi che il sesso migliore era stato in fondo quel primo rapporto in cui ero riuscito a farla venire. Quando non avevo alcuna aspettativa e ci eravamo limitati a fare ciò che ci piaceva, senza sforzarci di ottenere alcunché.

Capii non solo che il sesso è molto di più di un pene che entra una vagina, ma che a volte questo non è nemmeno il movimento migliore che si possa fare.

In una parola, imparai a essere per lei un amante migliore. Scusate se è poco.

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