Una bella storia che unisce religione e uguaglianza e arriva dall’Italia. Si tratta della storia di un uomo, Wajahat Abbas Kazmi: è pakistano ma vive nel Belpaese da 14 anni, si occupa di cinema e di diritti umani. È musulmano. Ed è omosessuale. In altri casi, la cronaca non parlerebbe né della sua religione né del suo orientamento sessuale – la deontologia giornalistica ci impone di non divulgare i dati sensibili delle persone, a meno che non rientri nell’essenzialità dell’informazione, ed è proprio questo il caso. Perché la religione e l’orientamento sessuale di Wajahat hanno a che fare con la storia che stiamo per raccontarvi.

Da quando è in Italia Wajahat ha trovato il coraggio per il coming out: oggi vive felice e vorrebbe che anche gli altri gay musulmani lo siano. Ha lanciato infatti una campagna dal titolo “Allah Loves Equality” (cioè “Allah ama l’uguaglianza”), che prende le mosse dalla propria esperienza. In Pakistan avrebbe dovuto sposare una cugina – i matrimoni combinati sono tra i costumi locali – e da persona religiosa praticante ha dovuto compiere un certo percorso per far accettare, ma soprattutto per accettare in prima persona la propria omosessualità. Ha così rilasciato un’intervista a Tpi per raccontare la propria storia.

La situazione dei diritti umani in Pakistan – spiega Wajahat – è bruttissima perché la maggior parte della popolazione non sa nemmeno se esistano i diritti umani e cosa siano. La libertà di espressione non esiste, è uno dei Paesi in cui negli ultimi 2-3 anni i giornalisti sono stati arrestati, non possono scrivere contro lo stato, contro l’esercito, contro lobby. E la situazione degli omosessuali in Pakistan è un po’ diversa da quella degli altri Paesi musulmani come l’Arabia Saudita, in cui c’è la pena di morte. Noi abbiamo una legge contro l’omosessualità in cui ti condannano a 10 anni di carcere, però il bello è che nessuno è stato ancora condannato per omosessualità. C’è tolleranza dell’omosessualità nella società, perché non è una novità, perché in un Paese che non ammette rapporti sessuali prima del matrimonio, è più facile avere rapporti sessuali con persone dello stesso sesso.

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Al momento Wajahat sogna che la sua campagna “Allah Loves Equality” diventi un documentario. Non da girare in Italia – dove la situazione relativa ai diritti degli omosessuali, benché indietro rispetto ad altre nazioni, sta vivendo un lento, progressivo svecchiamento, una primavera di novità – ma da girare in Pakistan, dove la situazione è di gran lunga peggiore, tra negazione dell’omosessualità, matrimoni combinati e religione vissuta rigidamente. La discriminazione delle persone Lgbtqi* è, almeno sulla carta, molto forte in Pakistan. Wajahat dice che anche partecipare a un Gay Pride o essere se stessi apertamente può diventare pericoloso: non si sa mai chi può farti diventare un bersaglio. Ed è un bel rischio che Wajahat si vuole accollare quello del documentario, ma è quello che gli artisti fanno: cercano di ottenere un cambiamento nella società oppure la osservano per comprenderla e raccontarla agli altri. Il vero problema è il pregiudizio: per molti è un controsenso essere gay ed essere musulmani come Wajahat.

In generale, le religioni create dall’uomo si basano sulla forza del numero. Il numero dei fedeli cresce se ci sono nuovi nati e relazioni sentimentali che non ammettano il concepimento vengono considerate peccato. Per questo molte religioni organizzate mettono al bando donne single, preservativi e naturalmente omosessuali. Ma le religioni sono fatte di persone e quello su cui Wajahat sta agendo sono le persone, le persone che costituiscono la base e non il vertice di un culto. Facendo comprendere a questi che l’omosessuale non solo non è un nemico, ma è solo una persona come tante che chiede il diritto di essere com’è e di amare alla luce del sole.

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