Alla visita per le dimissioni, quando mi sdraiai a fatica sul lettino e mostrai loro la mia patata tumefatta, la ginecologa e l’ostetrica fecero una smorfia di dolore e la prima disse “interessante, sarà forse la seconda volta che vedo una roba così”.

Interessante un cazzo. La mia vagina aveva le dimensioni di una palla, pesava tra le mie gambe come se avesse attaccato dei pesi che cercavano di tirarla giù e non riuscivo a stare in piedi più di qualche minuto senza rischiare di svenire.

Per la cronaca, 4 giorni prima, quando per la prima volta dopo il parto mi ero trascinata in bagno per fare pipì, la mia mano con la carta igienica pronta all’uso aveva incontrato la mia patata poco dopo la metà della coscia, molto più in basso di dove avrebbe dovuto essere una Jolanda, se non fosse stata deforme e gonfia come un palloncino.

Sulla mia cartella di dimissioni ci scrisse: “Lacerazione di terzo grado B”.

Lesioni di 3° e 4° grado accadono solo il 5-10% dei parti.
Praticamente la lacerazione coinvolge anche i muscoli dello sfintere anale.
Però nella sfortuna è stata fortunata, è una lesione che riguarda solo lo sfintere esterno e non quello interno e la mucosa.

Eh già, son proprio fortunella, pensai. Manco avessi avuto lo stesso culo nel far parte di quelle poche persone che vincono a qualche lotteria…

Già, la mia piccola Attila, uscendo dalla mia patata, sembrava aver fatto in modo di garantirsi che, al suo passaggio, non restasse più niente. In realtà, la disfatta si consumò quando, a causa di un’emergenza risoltasi poi nel migliore dei modi, uno dei tanti medici che a quel punto affollavano la sala parto decise di intervenire con la kiwi, l’evoluzione della ventosa e strappò letteralmente fuori dalla mia vagina la mia piccola.

Mi dispiace ma non c’erano alternative. È una pratica che si usa nel 3-5% dei casi, quando c’è un’emergenza e non c’è il tempo di fare un cesareo.

Mi disse lo stesso medico mentre imbastiva e ricuciva, sia internamente sia esternamente, la mia vagina, il clitoride, le grandi labbra, l’episiotomia e uno “strappo” che, dalla mia patata arrivava fino all’ano, di cui porto ora, fieramente, una notevole cicatrice di guerra conquistata sul campo.

Olè, sono la regina delle percentuali da caso umano: avevo vinto qualche cosa?

Ovvio che sì: avevo una vagina che sembrava un Picasso. Dopo un mese sedevo ancora su un cuscino per emorroidi e dopo due provavo inutilmente a seguire gli esercizi di Kegel che mi aveva dato la ginecologa – “contrai i muscoli del perineo e prova a interrompere il flusso di pipì, quando la fai” – per ristabilire la tonicità del mio pavimento pelvico. Ma, appunto, era inutile e io ero quasi totalmente incontinente ed evitavo di pisciarmi addosso solo andando in bagno a intervalli regolari, anche in assenza di stimoli.

Quando al terzo mese la mia vagina cominciò a riassumere un aspetto umano e a rispondere flebilmente ai miei tentativi di contrazione, su consiglio della ginecologa cominciai la riabilitazione del mio pavimento pelvico e, meraviglia delle meraviglie, la prima cosa che, in via ufficiosa, la mia ostetrica mi disse fu

Comprati un vibratore.

Santa donna, le sono debitrice di una patata funzionante e anche della rinascita della mia vita sessuale: altro che “nelle sue condizioni le consiglio di aspettare qualche mese prima della ripresa delle attività sessuali”, che mi disse alla dimissione la ginecologa, io lì dentro non volevo che entrasse o uscisse più nulla!

Questo ovetto vibrante dall’aspetto buffo fu la mia prima ancora di salvezza:

Evita elettrostimolatori fai da te: bisogna sapere come applicarli. L’elettrostimolazione la fai solo al Centro di Riabilitazione Perineale sotto nostro controllo. A casa invece puoi usare un vibratore che stimoli la contrazione involontaria del pavimento pelvico.

Io a quel punto, polla, le dico che ho qualche perplessità sul fatto che un sex toys mi ridarà il controllo sulla mia vagina, chiedo se esiste una letteratura medica a riguardo, se non ci sono vie più istituzionali, ma la Luisa taglia corto:

“Senti, faccio questo lavoro da 40 anni e di patate messe male ne ho viste. Per favore non mi fare quella scandalizzata che “oh mio Dio un vibratore”.

Se non ti va lascia stare e facciamo solo le cose “istituzionali” – me lo dice con il tono di chi mi sta chiaramente prendendo per il culo -. Non ti ho detto né che devi diventare una pornostar, né che non devi seguire la riabilitazione, ma che ti può aiutare e molto”.

Offesa nel mio orgoglio di donna emancipata, ordino il mio sex toys e, sorpresa, è una figata.

L’ovetto vibrante in questione ha la pretesa di essere un “vibratore intelligente” e, in realtà, lo è. Ha dei sensori tattili che, tramite una facile procedura in cui tu contrai e rilassi a comando il pavimento pelvico, rileva lo stato dello stesso e crea degli esercizi personalizzati.

In realtà il buon Luna Smart Bead – questo il nome dell’attrezzino – è stato concepito per misurare il potenziale orgasmico e creare di conseguenza una serie di esercizi personalizzati allo scopo di far provare un piacere più intenso; ma i due obiettivi, in questo caso, passano per lo stesso percorso.

Inizia così la mia riabilitazione perineale, che presto diventa anche riabilitazione orgasmica: nel senso che dopo i primi utilizzi comincio a concentrarmi sempre di più anche sugli “effetti collaterali” dell’ovetto vibrante infilato nella mia vagina e comincio a concepire che lì dentro possa tornare a entrarci anche altro, per la gioia del mio compagno.

Quando la “personal trainer vaginale”, che è un volpone, lo scopre, allora rilancia:

Oh! Ora che hai ricominciato a scopare – giuro, mi ha detto così! -, puoi fare gli esercizi di Kegel anche con il tuo compagno, ché è pure più divertente.
Quando fate l’amore e lui entra giocate un po’: tu contrai e gli stringi l’uccello, poi rilasci, contrai e rilasci. Se lo fai regolare è una palla, ma se ogni volta lo sorprendi e lo fai una volta veloce, una volta contraendo a lungo e un’altra all’improvviso, vedrai come si diverte anche lui.

E, in effetti… A. farebbe un monumento alla Luisa e, fosse per lui, lo metterebbe in piazza al posto di quello di Garibaldi.

Ma la mia folle ostetrica, che per conto mio è la regina del sesso felice e senza tabù, oltre che del pavimento pelvico, a quel punto mi ha finalmente introdotto anche al fantastico universo delle palline vaginali, proponendomi di iniziare un percorso di riabilitazione progressivo:

Bastano 5 minuti al giorno. Te ne infili una su per la Jolanda, mentre prepari la cena o pulisci casa e pian piano allunghi il tempo fino a 15 minuti.
Quando poi sei abbastanza forte passiamo a 2 palline.

Mi spiega che esistono sia le palline a peso fisse, sia dispositivi a peso variabile: piccole palline o ovuli al cui interno è possibile inserire più pesetti.
La meccanica è semplice: per non lasciar cadere fuori la pallina, i muscoli della vagina si attivano e, quindi, si rinforzano. Praticamente inizio a fare sollevamento pesi con la vagina.

La sex coach Kim Anami

Non aspirò certo a diventare come Kim Anami (nella foto), campionessa di Vaginal Kung-Fu, ma di sicuro mi faccio prendere la mano e subito compro un kit per la riabilitazione del pavimento pelvico con vari pesi allegati: non un sex toys, ma un vero e proprio dispositivo medico. Sopravvalutando i progressi della mia patata, provo a inserire l’ovetto con tutti i pesetti a disposizione, facendolo miseramente schiantare al suolo.

Al che rivedo la strategia, anche perché nel frattempo mi prendo il cazziatone della Luisa, che cerca di spiegarmi che devo dare alla mia vagina i necessari tempi di recupero:

È come se una mezza pippa che non ha mai fatto nulla, decidesse all’improvviso di andare tutti i giorni in palestra a sollevare 20 kg: ti fai più male che bene. Deve essere graduale.

Insomma, il Vagina Fit è disciplina che non si può improvvisare e poi la Luisa preferisce sempre la versione divertente della terapia e mi consiglia di limitarmi a più pratiche ed economiche palline vaginali in silicone. Detto fatto: ecco come sono arrivata a camminare per casa prima con una, poi con due e infine con tre palline inserite nella patata e con un cordino penzolante che fuoriesce e serve ad estrarle.

Anche in questo caso la mia vagina trainer mi offre spunti anche per una variante erotica nell’utilizzo delle palline cinesi:

Puoi anche usarle con A. per giocare un po’. Lui te le sfila piano e tu trattieni e poi cedi.
Poi te le inserisce e… Insomma, hai fatto un figlio, non serve che ti spieghi come si fa spero.

Numero uno: credo che l’uomo della Luisa sia la persona più felice del mondo!
Io, dal canto mio, oltre a non essere più incontinente, ora ho una patata che ha scoperto muscoli che non pensava di avere (se inventassero un sex toys adatto, potrei anche decidermi a scoprire quelli sopiti delle mie gambe, braccia e degli addominali) ed è molto più “resistente”, anche nel sesso.

Ora capite anche il mio amore per i sex toys, di cui vi avevo già parlato qui:

E di cui abbiamo fatto uso anche per il nostro “esperimento sociale”, chiamiamolo così, “Abbiamo provato tutte le scene di sesso di 50 Sfumature di Rosso”.

E, comunque, a distanza di quattro anni dal parto sono ancora convinta che mi abbiamo ricucito la vagina più stretta: la mia patata-trainer dice che è una sensazione dovuta allo sviluppo dei muscoli vaginali, A. dà la colpa (in realtà il merito) alle cicatrici interne che sono rimaste un po’ in rilievo.
Sarà! Ma io giuro che prima ce l’avevo più grande.

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