Dipendenza affettiva, che cos'è e come se ne esce
Nei casi più gravi, lo psicologo è l'unico che può aiutarvi: ecco che cos'è la dipendenza affettiva, come si può riconoscere e da che cosa è causata.
Nei casi più gravi, lo psicologo è l'unico che può aiutarvi: ecco che cos'è la dipendenza affettiva, come si può riconoscere e da che cosa è causata.
La dipendenza affettiva è una condizione in cui ci si ritrova sbilanciati in una relazione. Sappiamo che l’uomo è un animale sociale e che quindi non può fare a meno – è dipendente, in un certo senso – dal relazionarsi con gli altri, ma quando si ama qualcuno che non ci amerà mai allo stesso modo, si subordinano i propri bisogni a quelli dell’altro e ci si aspetta che cambi, allora possiamo ben parlare di dipendenza affettiva, in particolare quando questa diventa praticamente patologica.
C’è da dire che questa condizione affligge in particolare delle persone che si ritrovano in una relazione sentimentale squilibrata, ma non mancano neppure i rapporti d’amicizia o di altro genere caratterizzati da essa.
Possono essere molti e differenti i sintomi che interessano la dipendenza affettiva patologica. Molte persone che ne soffrono sono per esempio schive e inibite, sono sottomesse e hanno necessità di essere appoggiate e sostenute, soffrono per un senso di inadeguatezza. Certo, a tutti fa piacere sapere che c’è qualcuno che ci appoggia e ci sostiene, ma la differenza è che gran parte delle persone affronta la propria quotidianità da sola, pur avendo qualcuno nel cuore. Analogamente, c’è una tendenza all’idealizzazione: si finisce per credere che l’altro sia talmente importante da doversi preoccupare e disperare all’idea di poterlo perdere.
Questa dell’identità tra sottomissione e dipendenza affettiva è una delle ragioni per cui le femministe hanno criticato la trilogia bondage delle “50 Sfumature“. Tra le critiche infatti vi era il fatto che la protagonista non dimostrasse una mera sottomissione canonica all’interno di un “gioco” sessuale sadomaso, ma in realtà volesse addirittura “salvare” il suo uomo, illudersi di poterlo cambiare, nel mentre si trovava in una posizione di subalternità – cosa che peraltro nel sadomaso non esiste, perché è in realtà chi si sottomette ad avere il vero potere, ed è verso di lui che pende la bilancia della relazione sessuale.
Altri sintomi sono una sindrome d’abbandono particolarmente potente – tanto da non tollerare la solitudine – e la spinta a fare cose particolarmente degradanti pur di compiacere l’altro e cercare di farlo restare. A questo si aggiunge una sorta di senso di colpa atavico: chi soffre di dipendenza affettiva tende a riversare su se stesso le ragioni del fallimento della relazione. Accade in maniera particolarmente grave in quelle donne vittime di abusi fisici in famiglia, in quelle che non si ribellano arrivando a giustificare il proprio carnefice. A questo si aggiunge una certa resistenza ai cambiamenti, che nei casi peggiori può divenire addirittura fobia.
Tanto che si sviluppa anche una certa paranoia: la gelosia morbosa è dietro l’angolo in questi casi ed è segno tangibile che qualcosa non va e c’è bisogno di chiedere aiuto a uno psicologo. Naturalmente non parliamo di piccole gelosie e insicurezze, che una volta possono capitare a tutti, ma di una situazione in cui vige la perenne mancanza di fiducia verso l’altro.
Una delle cause o meglio dei fenomeni che sono stati riscontrati insieme alla dipendenza affettiva e la sindrome post-traumatica da stress. In pratica, chi abbia affrontato qualcosa di veramente terribile, anche durante l’infanzia, come degli abusi, potrebbe incontrare poi la dipendenza affettiva. Idem con comportamenti compulsivi, abuso di alcol e droghe, tensioni e litigi in famiglia durante l’infanzia.
Naturalmente, alla base della dipendenza affettiva c’è anche una mancanza di autostima. Potremmo stare a dirvi che sottovalutarsi non porta a nulla, ma quando manca l’autostima è perché si è giunte lì dopo un certo percorso e quindi serve uno specialista per fare il percorso inverso e tornare donne appagate del proprio modo di essere.
Il primo passo è rendersene conto, ma non sempre è possibile: una coppia in cui c’è questo squilibrio è in realtà perfettamente in equilibrio al suo interno, solo lo spettatore al di fuori può notare cosa accade davvero. Il punto di vista di un osservatore neutrale può essere fondamentale, ma deve essere quello di un osservatore che può avere un ascendente sulla persona che ha la dipendenza affettiva, come un genitore, un fratello o una sorella, l’amica del cuore. Nei casi più gravi si rischia comunque di fare un buco nell’acqua.
Se però si è fortunati, il secondo passo è rivolgersi a uno psicologo che inizierà un percorso per far raggiungere l’indipendenza affettiva alla persona che invece soffriva di dipendenza. Una delle carte che potrebbe tentare lo specialista è il dialogo con il partner, ma non sempre è possibile. Si lavorerà sull’autostima, sulla riconciliazione con la solitudine.
È fondamentale ricordarsi che si deve star bene con se stessi, ma questo vale anche se non si è mai sofferto di dipendenza emotiva.
Vorrei vivere in un incubo di David Lynch. #betweentwoworlds
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