Gli uomini, nell’immaginario collettivo, sembrano essere spesso ossessionati dalle misure e dalla forma del proprio pene. Per tanti si tratta di qualche momento di insicurezza, ma per altri è un vero e proprio problema, che si chiama disordine dismorfico del pene o Pdd – ma qualcuno la chiama anche sindrome da spogliatoio. Quest’ultimo nome, in effetti, aiuta a capire immediatamente di cosa si tratti. In uno spogliatoio, dopo la partita, gli uomini sono tutti insieme per fare la doccia, completamente nudi, e chiaramente i confronti al di sotto dell’equatore per qualcuno scattano automatici. Ma una cosa è la realtà, un’altra cosa è appunto questa sindrome, che accresce i dubbi sulla “normalità” del proprio pene.

Per comprendere meglio, dobbiamo sapere che gli uomini hanno per lo più un pene nella norma, cioè che va da 8-10 centimetri a riposo a 12-16 centimetri in erezione. Se avete queste misure, vuol dire che non avete nulla da temere. C’è però chi soffre di micropene – cioè che presenta delle misure intime inferiori a 7 centimetri. Questa lunghezza è calibrata sulla possibilità della vagina di essere penetrata in profondità e la profondità in questione corrisponde a 7,5 centimetri, come attesta State of Mind. Va da sé che con un pene di lunghezza uguale o superiore alla norma, la penetrazione risulta efficace.

Ma niente paura anche per chi ha il micropene, dato che il sesso non consiste semplicemente nella penetrazione (anzi, quello è l’ultimo dei dettagli da prendere in esame). Sta di fatto però che, solitamente (nell’80% dei casi), chi si rivolge al chirurgo per un intervento di allungamento del pene è un uomo perfettamente nella norma, che con tutta probabilità soffre appunto di disordine dismorfico del pene.

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Questo disturbo – per cui vale la pena sottoporsi a un ciclo o più di psicoterapia – non riguarda solo il modo in cui un uomo percepisce le dimensioni del suo pene, ma anche la forma, eventuali curvature, aspetto di prepuzio e glande. E poi c’è una ricaduta in termini di ansia, che può dare perfino problemi di erezione. E i modelli che la pornografia restituisce non sono certo d’aiuto. Non è un mistero che le dimensioni medie dei pornoattori non riflettano per niente quelle del mondo reale, tuttavia sono allo stesso tempo i membri con una visibilità maggiore e quindi in grado di creare un grande senso di frustrazione nella mente degli uomini. Si suole dire che “le dimensioni non contano” per rincuorare coloro che soffrono di Pdd (ma in realtà anche tutti gli uomini un po’ insicuri) ed è un’affermazione tanto vera, quanto falsa allo stesso tempo. Le dimensioni nella sfera sessuale hanno un’influenza che può essere negativa (e badate possono averla sia se il pene è troppo piccolo, ma anche se è troppo grande) ma non è l’unica cosa a influenzare il sesso. Inoltre, sono i partner ad attribuire a quella dimensione un’accezione negativa, ovvero in grado di inficiare l’atto sessuale, perché in realtà basta un po’ di fantasia, creatività e complicità per sopperire tranquillamente al “problema” dimensioni.

La domanda è – spiega Justin Lehmiller, ricercatore al Kinsey Institute, come riporta Cosmopolitan – da dove viene questa parzialità della percezione? Gran parte del problema è nella pornografia, in cui riceviamo costantemente messaggi in cui la dimensione del pene è la misura della virilità. Tutto questo crea pressione culturale sugli uomini.

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Uno studio pubblicato dall’American Psychological Association ci dà il quadro della situazione. Nella ricerca vengono riportati i risultati di un sondaggio condotto su Internet nel 2006 su poco più di 52mila persone – uomini e donne – eterosessuali. Il 66% degli uomini ha valutato il proprio pene come medio, il 22% si è ritenuto superdotato, il 12% sottodotato. Invece ben l’85% delle donne si è detta soddisfatta delle dimensioni del pene del partner, mentre il 45% degli uomini lo avrebbe desiderato più grande. Chi si è detto superdotato, inoltre, ha mostrato di possedere una maggiore autostima, una maggior fiducia verso se stesso. Perché, in fondo è questa la chiave nel sesso: l’autostima non genera ansia, la sua mancanza invece sì. Accorgersi di avere un problema, un’ossessione, è sempre il primo passo, cercare uno psicoterapeuta il successivo, quello meno difficile del primo.

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