Parlare di masturbazione, soprattutto se hai una vagina, è ancora mal visto. Il fatto che non se ne parli non vuol dire che non la si pratichi, o in alcuni casi forse sì, ma sicuramente silenziare il portato narrativo e culturale della masturbazione per le donne, o per chiunque sia munito di vagina, contribuisce ad alimentare lo stigma che investe la sessualità femminile.

Secondo un sondaggio risulta che le donne si masturbano circa la metà delle volte in meno rispetto agli uomini, e che per chi lo pratica il tempo e la frequenza sono notevolmente minori. Possiamo ricondurre questi dati a un mero dato biologico? Forse, in parte sì. I corpi, e dunque la fisiologia, sono diversi, così come diversificate sono le pratiche legate al piacere. Ma quello che non dobbiamo rischiare di fare è prendere sottogamba l’elemento culturale che investe la rappresentazione della masturbazione femminile.

Quando si parla di uomini, infatti, fin dall’infanzia, vediamo come la manipolazione dei genitali risulta un elemento consueto e socializzato, creando anzi simpatia e ilarità negli adulti. Nessun riferimento, invece, si ha nella narrazione comune rispetto alla manipolazione e genitalità femminile.

È da pochi anni, infatti, che vengono individuate, anche nella letteratura psicopedagogica, delle pratiche simil masturbatorie che si riscontrano nelle bambine, che vanno dall’esplorazione dei genitali al contatto con oggetti che possano solleticare la clitoride, vedi gli spigoli dei banchetti, ad esempio.

Lo stigma che investe la masturbazione femminile ci porta ad assumere convinzioni erronee, tali per cui le donne siano meno interessate al sesso, o peggio ancora che il sesso sia da intendersi esclusivamente sotto forma penetrativa, quindi poco conta quello che ha a che fare con il nostro piacere se tanto la funzione primaria è quella di accogliere un pene che sarà il destinatario privilegiato di questo atto.

Questa assenza di narrazione rispetto alla masturbazione femminile, che per molte persone potrebbe in realtà non rappresentare un problema, perché tanto poi “faccio quello che voglio, quindi chi se ne frega se non se ne parla”, rischia tuttavia di danneggiare molte persone e numerose categorie sociali che già di per sé sono già marginalizzate.

Penso, ad esempio, alle persone con ritardo cognitivo o disagio psichico, per cui la sessualità rappresenta un problema, in quanto non ci sono dei reali e condivisi percorsi di accompagnamento e educazione alla sessualità. Se, tuttavia, per gli uomini, la masturbazione viene spesso considerata parte integrante dello sviluppo evolutivo, e quindi anzi tollerato e incentivato dalle famiglie, per le donne questo tipo di tematica non entra nemmeno in gioco.

Non parliamo soltanto della masturbazione, ma di tutte quelle pratiche di cura, conoscenza del proprio corpo, esplorazione della propria fisicità, che sembrano non far parte dell’ordine del discorso.

E questo è un problema. Molte donne con disabilità non hanno, nei fatti, accesso a una sessualità libera, meno ancora a una pratica del piacere, semplicemente perché non esiste socialmente.

Mi è capitato, nella mia esperienza clinica, di conoscere donne adulte per cui la masturbazione rappresentava un tabù di cui non poter neanche parlare, figuriamoci provare a metterla in pratica. Questo deriva, il più delle volte, da una educazione familiare e/o scolastica estremamente sessuofobica, che incarna l’unica sessualità possibile come quelle normativamente intesa.

Ripartire dal nostro corpo e dal nostro piacere è un’esperienza estremamente personale e non c’è un modo univoco per rappresentarla.

Per intenderci, creare guide pratiche su come masturbarsi potrebbe risultare profondamente controproducente. In primo luogo perché la masturbazione è una scelta, non l’unica strada; ci sono donne che scelgono di non masturbarsi e non credo che qualcuno possa stare lì a puntare il dito e giudicare quelli che sono percorsi individuali.

In seconda battuta, molto più banalmente, quello che può piacere a una può non eccitare l’altra e viceversa. Su questo, in particolare, la narrazione sociale dominante della masturbazione maschile può venirci sicuramente in supporto.

Cosa eccita un uomo? La cultura, che è anche quella delle rappresentazioni mediatiche, ripropone da anni il classico stereotipo legato alla pornografia, a un ideale assolutamente eteronormato e prestazionale, fatto di peni giganti, assoggettamento del partner, dominio e prevaricazione. Nulla di più sbagliato, o quantomeno c’è un mondo che disattende queste aspettative machiste, le stesse per cui la stimolazione prostatica non viene neanche contemplata.

Tutto questo pesa, anche più di quanto possiamo immaginare; incardina il sesso maschile in ideali di virilità tossica che molto spesso causano frustrazione perché non si risponde a quel tipo di visione. Quindi, a occhio e croce, consiglierei di non incamminarci per una strada che abbiamo visto produrre, negli anni, più danni che altro.

La masturbazione può essere un momento personale, da vivere in coppia, esplorativo, distensivo, può eccitarci il sottofondo della tv o possiamo aver bisogno di guardarci un porno. Possiamo usare le dita, preferire sex toys, possiamo scoprire che il doccino ci provoca sensazioni mai provate prima.

L’unico elemento che mi sento di avvalorare e sostenere è la possibilità di concedersi del tempo per fare conoscenza con il nostro corpo e provare a discriminare tra quello che ci causa piacere e quello che invece provoca tensione. Allo stesso modo, la ricerca dell’orgasmo, soprattutto in una genitalità non estroflessa come quella di chi ha un pene, può risultare più complessa.

Non c’è bisogno di toccarsi per avere un orgasmo (anche se potrebbe essere cosa gradita), meno che mai darselo come fine ultimo, perché quello che si sperimenta nel frattempo può essere allo stesso modo stimolante e appagante.

Credo che sia importante cominciare a favorire un dialogo e una narrazione su tutto quello che riguardi la scoperta del proprio corpo e del proprio piacere, per provare a fuoriuscire da una visione patriarcale dominante e soprattutto per ribadire al mondo che i nostri desideri e il nostro godimento valgono.

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