Le persone transgender sono sovente invisibili in questa società. E questo non è giusto, è una questione messa in evidenza più volte dalle celebrità trans come per esempio l’attrice Laverne Cox. Possiamo affrontare la questione nella maniera che vogliamo ma questo non cambia la sostanza: se pure alcuni Paesi mostrano un’apertura al mondo Lgbtqai*, quella “t” che compone la sigla è spesso incompresa, a cominciare dai media. È stato forse con queste premesse che una di queste persone transgender, Mattie Lents, ha scritto un articolo su Medium con alcune considerazioni basate sulla propria esperienza.

Mattie viene spesso chiamata in causa da conoscenti ed estranei sui social network. Tutti chiedono la stessa cosa: come si fa a capire chi si è, se si è trans? Così ha voluto andare a fondo, raccontando le lotte con la propria identità sessuale ma senza alcuna pretesa. Tutto parte infatti dal suo vissuto, in cui ci si può ritrovare o no, ma non si tratta di un parere medico, per quello bisogna rivolgersi a un professionista, Mattie lo rimarca a fondo. E decide di iniziare dal principio: la sua infanzia, quando, come è accaduto ad altri, la propria identità sessuale è stata messa in discussione a causa dei modelli stereotipati che la società si tramanda nel tempo.

Per iniziare, un passo indietro sulla mia storia: sono nato maschio nel 1987, il giorno del compleanno di mia madre, a Houston, in Texas. I primi segni che il mio genere fosse insolito si presentarono quando avevo solo due anni. Dissi che quando sarei cresciuto sarei stato una mamma, non un papà. Mi infilavo di nascosto nella stanza di mia sorella per provare i suoi vestiti. Ho girato in casa con un canovaccio in testa chiedendo che i miei capelli fossero spazzolati.
Ero un bambino vivace e irrequieto. Mia madre ha detto che la prima volta che mi ha visto restare fermo e dedicare tutta la mia attenzione fu a un balletto. Ma quando ho portato il tutu di mia sorella a “Mostra e dimostra”, e ho ballato per la lezione, sono stata mandata da uno psichiatra. Questo non era un comportamento accettabile da parte di un ragazzo. Erano preoccupati perché sembravo fare amicizia solo con le ragazze. Questo, sentivano, avrebbe potuto trasformarsi in un problema.
Ricordo di essermi seduto nello studio psichiatrico mentre lui mi chiedeva della mia vita a scuola. Gli ho detto di come mi sentivo diverso dagli altri bambini. Come volevo giocare alla famiglia, ma a volte ero respinto, di come ero spaventato dai giochi dei maschi e di come talvolta fantasticavo di uccidermi. Mi ha scortato fuori, ha portato mia madre nella stanza e le ha detto che ero in guai seri. Avrei avuto certamente bisogno di ulteriori trattamenti, probabilmente farmaci e forse qualche forma di ospedalizzazione.
Mia madre era scioccata. Dopo molte discussioni, lei e il mio patrigno hanno deciso che la diagnosi e l’eventuale trattamento avrebbero potuto portare a più danni che benefici. Ci siamo lasciati alle spalle la visita psicologica e non siamo mai tornati indietro. A oggi sono profondamente grata per questa decisione, temo che nel Texas degli anni ’90 un ragazzo trans potesse venire curato come per una malattia mentale.
Questo non è il contesto di tutta la mia storia, ma volevo dirlo dall’inizio perché fa luce su come possano nascere modelli precoci di genere non tradizionali, e perché sia difficile per molti scettici giudicare un bambino di due anni che ama bambole, vestiti e il balletto.

Il primo consiglio che Mattie dà a coloro che pensano di essere persone transgender è: quando notate un contrasto tra le vostre istanze e quelle della società, dovete cercare di capire se siete trans o si tratta invece di qualcos’altro. Secondo l’autrice, il giudizio sulla propria identità sessuale può essere inquinato da ciò che dice la società e che non necessariamente riflette la realtà, che è meno rigida, più liquida.

Se credi che ci siano solo due generi – uomini e donne – allora, ne consegue, assumerai che devi scegliere tra uno o l’altro nella tua presentazione sociale. E invece no. Il genere è ampiamente variabile e infinitamente complesso. Ci sono tanti modi per essere un uomo quanti uomini ci sono al mondo e altrettanti per essere una donna per quante sono le donne.

Secondo Mattie, siamo noi a dividere i bambini secondo due culture parallele, modellandoli in stili di vita che sono in contrasto. È tutto dovuto alla nostra organizzazione sociale, in base alla divisione del lavoro: la donna ha potenzialmente la capacità di restare incinta e avere figli e nutrirli, per questo è stata da sempre ritenuta diversa dall’uomo, caratterizzato invece da forza muscolare e tendenza al dominio fisico. E non si tratta solo delle persone, anche altre specie animali presentano queste strutture sociali, che hanno quindi un che di atavico.

Così Mattie invita a non mettere subito un’etichetta su quello che si è, invita a tralasciare un’eventuale identità trans. Invece quello che si deve fare subito è abbracciare passioni e stili di vita che amiamo e che non necessariamente fanno parte del retaggio del nostro sesso di nascita. Una bambina può giocare con la pista e da grande diventare camionista, un bambino può giocare con le bambole e da grande fare il baby sitter. Ma se tutto questo non basta, allora ci si può rivolgere a un medico, per farsi consigliare e magari iniziare un viaggio nella transizione. Non tutti hanno bisogno di un intervento chirurgico, ognuno conosce una sua sfumatura in cui si sente bene. E la psicanalisi può aiutare a comprendere quale sia questa sfumatura.

La terapia è stata fondamentale per il mio viaggio nella transizione. Rifiuta lo stigma attorno a essa. Non significa che sei malato, significa che sei un umano che sta cercando di vivere la sua verità in una società ancora consumata da false idee. […] Non importa chi sei, non importa dove ti trovi il tuo viaggio, ti incoraggio a scavare in profondità.

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