Se il sesso è ancora considerato un tabù, figuriamoci cosa molte persone pensano delle sue declinazioni più estroverse, come il bondage, ad esempio.

Certamente film come 50 sfumature di grigio hanno riacceso l’interesse verso le pratiche del BDSM, ma sbaglia chi pensa che momenti del genere siano da considerarsi unicamente come modo alternativo e trasgressivo di fare l’amore.

Ne abbiamo parlato con Alithia Maltese, trentaquattrenne insegnante di bondage ed educatrice di sessualità alternativa che si occupa di formazione organizzando a livello nazionale incontri su consenso, poliamore e laboratori sulla comunicazione non verbale. La prima domanda, è ovvio, riguarda la nascita della passione per il bondage.

Da piccola mi piaceva legare le cose – ci dice – costruivo castelli e fortini legando insieme le sedie e le poltrone di casa. Raggiunta la maturità sessuale ho scoperto che si potevano legare le persone e per anni l’ho fatto usando sciarpe, cinture, oggetti di fortuna. Al bondage improvvisato ho unito l’utilizzo della cera calda e altre pratiche molto semplici come lo spanking (le sculacciate, per intenderci).

Sentivo, però, che mancava qualcosa. Fare sesso estremo con le persone che frequentavo non raccontava tutto di me. Inoltre sentivo il bisogno di confrontarmi con qualcuno che avesse i miei stessi istinti. Così ho chiesto consiglio a un’amica che sapevo essere interessata all’argomento e lei mi ha suggerito di iscrivermi a FetLife, un social network dedicato al BDSM che conta quasi nove milioni di iscritti in tutto il mondo. Qui ho scoperto dell’esistenza della comunità torinese, dei party e dei corsi di bondage. Mancava ancora un evento dedicato ai più giovani e così ho deciso di impegnarmi in prima persona fondando il TNG Torino, l’aperitivo informale dedicato al BDSM per persone tra i 18 e i 35 anni”.

Nel tempo Alithia si è specializzata soprattutto nel kinbaku, una disciplina giapponese che consiste nel legare una persona in un contesto erotico.

Per me legare vuol dire avere un dialogo. Trasmetto il mio stato d’animo, comunico i miei desideri alla persona che sto legando e contemporaneamente mi metto in ascolto. Tutti abbiamo sognato di fare del nostro hobby preferito o della nostra passione una professione. A un certo punto mi è capitato di essere invitata a eventi pubblici, come il Fish&Chips Film Festival del cinema erotico, a parlare di temi quali il consenso, la violenza, il BDSM. Sono stata chiamata in quanto organizzatrice di eventi a tema e come persona che ha un bel po’ di esperienza alle spalle. Non mi andava di arrivare a questi incontri impreparata, così ho cominciato a studiare educazione sessuale e a sviluppare un metodo personale per trattare argomenti connessi alla sessualità alternativa. Così ho avviato la mia attività di insegnante di bondage. Collegata all’attività di educazione e divulgazione è venuta fuori l’esigenza di accostare alla teoria la pratica e non avrei potuto scegliere altro strumento che le corde“.

Cosa significa essere una “educatrice di sessualità alternativa”?

Come dicevo prima, mi occupo di divulgazione in temi quali il consenso e la comunicazione non verbale realizzando incontri e workshop. Aiuto le persone che si avvicinano al BDSM a capirne le dinamiche, a comprendere quali sono i loro interessi, trovando insieme un percorso per permettere loro di esplorare questo mondo in sicurezza. Inoltre faccio da consulente per persone che vogliono parlare di BDSM, giornalisti, registi, scrittori, dando loro una visione dall’interno, che si discosta dalla visione mainstream a cui siamo abituati“.

Se il mondo del sesso è ancora visto come un tabù, quello del BDSM è addirittura “scandaloso”, e difficilmente riesce a slegarsi dall’ottica della pornografia. Perché invece sarebbe importante approcciarsi al sesso in maniera più spontanea, e anche a questa sessualità alternativa?

Secondo me c’è molta resistenza nei confronti della sessualità in generale perché c’è molta resistenza nel considerare corpo e mente come un tutt’uno. Quello che agiamo ha delle conseguenze sul nostro stato d’animo e i nostri desideri sono impulso per le nostre azioni. Per me è importante riconoscere questo ruolo alla fisicità. Per questo sono così attenta alla comunicazione non verbale. Il corpo ci parla, basta saperlo ascoltare. Ci parla di noi e della persona con cui stiamo interagendo e spesso è più sincero e più immediato delle parole. Più siamo consapevoli del nostro corpo, più ci sentiamo a nostro agio, più ci sentiamo liberi.

Chi pratica il BDSM ha come obiettivo la ricerca del piacere e durante la sessione di gioco è possibile portare avanti questa ricerca con i mezzi più disparati. All’interno della pratica possiamo esplorare i nostri desideri e condividerli con la persona con cui giochiamo. Possiamo provare vergogna, piangere, rilassarci, godere, avere paura, lasciare il controllo in totale libertà, senza preoccuparci del giudizio di chi è lì con noi in quel momento. Questo ci permette di avvicinarci, di entrare maggiormente in intimità con il/la partner e sperimentare nuovi giochi, mettere in atto fantasie che diversamente sarebbero rimaste solo nel nostro immaginario erotico o non sarebbero neanche nate. Non condivido con te solo il mio corpo ma apro una finestra sui miei segreti e ti permetto di vedere cose di me che in altre occasioni non mostro. In più, come singole e singoli, praticare il BDSM ci porta a domandarci che cosa cerchiamo in una relazione (che duri nel tempo di una sessione di gioco o che sia il rapporto con il/la partner), chi siamo, che cosa vogliamo. Insomma, dal mio punto di vista è uno strumento di autodeterminazione in piena regola“.

Un altro grande luogo comune è che il BDSM sia sinonimo di violenza; in realtà, tu stessa spieghi che la base di tutto è il consenso. Perché è così difficile capirlo rispetto al BDSM?

Spesso si associa il BDSM alla violenza, forse anche a causa della visione che cinema e letteratura negli anni hanno dato del BDSM. Pensa solo a chi ha dato il nome al sadismo: De Sade, appunto. Nei libri di De Sade sono descritte scene di sottomissione imposta, violenze, oscenità di tutti i tipi. Purtroppo spesso ci dimentichiamo che i suoi racconti non hanno come obiettivo l’eccitazione ma sono opere di satira politica. Nel cinema e nella letteratura contemporanea spesso chi pratica il BDSM è rappresentato come una persona con patologie psichiatriche. Nella pornografia in molti casi abbiamo una narrazione eccessiva, macchiettistica. Se chi non ha mai praticato il BDSM ha come unica fonte questo tipo di materiale è ovvio che la sua opinione aderirà a questa visione. L’immagine mainstream del BDSM è fuorviante e per nulla rappresentativa del mondo che vorrebbe descrivere. In realtà alla base di tutte le pratiche del BDSM c’è il consenso, come giustamente hai detto anche tu. La violenza è, per definizione, un’azione volontaria esercitata da un soggetto su un altro, in modo da determinarlo ad agire contro la sua volontà. Questo rende BDSM e violenza mutualmente esclusivi“.

Il BDSM è sempre e solo legato alla sfera sessuale?

Questa domanda ha molte risposte. Molti ti direbbero che non giocano con persone con cui non andrebbero a letto. Qualcuno pratica solo col proprio partner. In effetti alcune pratiche sono esplicitamente sessuali. Personalmente per me il BDSM non è per forza collegato al sesso o al mio desiderio sessuale, ma senza ombra di dubbio ha a che fare con l’intimità. Gioco spesso con alcune delle persone per me più care, mi piace condividere con loro momenti di intimità unici e irripetibili, ci piace prenderci cura gli uni degli altri anche attraverso queste pratiche, soprattutto nelle corde“.

Il bondage però, tu insegni, può essere legato anche a una riscoperta del proprio corpo. In che modo?

Sia da top che da bottom, nel bondage tutto il corpo è coinvolto. Da top con le nostre azioni determiniamo lo stato fisico e mentale della persona che gioca da bottom. Il modo in cui mi muovo, il modo in cui respiro, influenzano l’atmosfera che si crea durante la sessione. Da bottom, stando dentro la legatura, sento il mio corpo in modi che non avevo mai scoperto prima. La costrizione mi permette una nuova percezione di me. Il corpo è toccato, manipolato, esposto, esaltato dalle corde e da chi sta legando. Provo nuove sensazioni, ho una nuova consapevolezza. Non è raro che dopo una sessione la persona legata dica con stupore ‘Mi sono sentita bella”’ proprio perché ci si percepisce in modo completamente diverso. In questo dialogo non solo cambia la percezione di me ma anche quella dell’altro ed è bello fare questo cammino e queste scoperte insieme“.

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