Il Bdsm è l’acronimo di «bondage, dominazione, sadismo, masochismo» e indica tutte quelle pratiche erotiche che prevedono una differenziazione dicotomica. Da un lato c’è il dominatore – che quando è una donna prende il nome di mistress – dall’altro lato c’è il sottomesso o sub. Queste attività prevedono infatti una sorta di roleplay o gioco di ruolo, in cui entrambe le parti recitano una parte in base ai propri gusti sessuali. Non pensate che queste pratiche siano solo ed esclusivamente estreme: ci sono forme soft nel Bdsm, tanto soft che potrebbero incontrare il piacere per molti segmenti di persone.

Cosa vuol dire mistress

Mistress
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Mistress è solitamente il sinonimo di dominatrice. Il termine viene dall’inglese è vuol dire letteralmente «padrona», infatti a questo concetto è associato quello di «slave» cioè schiavo. Non esiste infatti una dominatrice senza uno o più schiavi su cui esercitare il proprio potere fisico e psicologico. Naturalmente, parliamo come sempre di pratiche sessuali consensuali. C’è una perfino una scuola di pensiero del Bdsm che ritiene infatti che il reale padrone sia in queste pratiche lo schiavo: è lui che decide fino a che punto può arrivare e le pratiche avvengono sempre all’interno delle sue preferenze, dei suoi desideri.

Chi sono e che cosa fanno le mistress

Innanzi tutto, bisogna specificare che esistono due tipi di mistress. La prima è assimilabile al roleplay in senso stretto: può essere una moglie, una fidanzata, un’amica con cui si fa sesso e lo scambio è sempre e comunque alla pari, nel senso che entrambi ricevono piacere dalla pratica senza ulteriori fini. L’altro tipo riceve del denaro in cambio della sua prestazione e quindi è assimilabile alla prostituzione. Quest’ultima, in particolare, potrebbe anche aver allestito di tutto punto una dungeon – cioè una sorta di stanza rossa del piacere come Christian Grey – con diverse suppellettili per esercitare la propria dominazione e infliggere dolore/piacere.

Come in tutte le pratiche del Bdsm, la dominazione prevede una safeword o parola di sicurezza. Si tratta di una parola d’ordine, scelta da ambo le parti con cui chiedere di fermare il gioco perché sta andando oltre quello che il sottomesso possa sopportare. La safeword non viene pronunciata solo per ragioni fisiche, ma anche per ragioni psicologiche. La dominazione infatti non è soltanto un fatto fisico, ma anche e soprattutto mentale. Tanto che talvolta inizia perfino in chat dedicate dove persone sconosciute possono incontrarsi, virtualmente o in seguito realmente, per dar vita a queste pratiche.

3 testimonianze di mistress

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1. Dominatrice per un giorno

Su Vanity Fair è apparso l’articolo interessante di una giornalista che si è finta mistress in una di queste chat. È stata aiutata in questa operazione da un vero dominatore, che le ha dimostrato come in realtà una persona che si dedichi a questo tipo di ruolo debba essere molto dura, completamente immedesimata nella parte. Se non ci si immedesima, ci si lascia prendere dall’empatia e non si può riuscire a umiliare completamente lo schiavo, non come lui o lei vorrebbe.

Vedo la foto – si legge nell’articolo della giornalista, che ha contattato un potenziale sottomesso in chat e gli ha chiesto di abbigliarsi come la cameriera di una casa borghese – torso nudo, grembiule, cuffietta ricamata e piumino in mano. Mi sento a disagio, come se mi stessi approfittando di lui, ma il Master mi spiega che in realtà lui ci sta godendo, e parecchio. Il disagio aumenta. A questo punto il mio mentore consiglia di lasciar perdere, potrei farmi emotivamente del male.

2. Un’esperienza da Torino

Nuova Società ha intervistato una dominatrice torinese, che ha raccontato come essere una mistress richieda molto studio teorico e pratico. Accanto alla lettura di De Sade e Apollinaire, questa ragazza ha infatti seguito dei corsi di legatura, perché un errore nel bondage si può pagare davvero a caro prezzo.

Per me sono fondamentali regole chiare e limiti al gioco che vengono concordati prima di cominciare – spiega – Vi è infatti un rapporto di fiducia estremo nel lasciarsi legare. Prima di ogni sessione, mi informo sui limiti di sopportazione e le esigenze della persona. Lavoro, malattie, relazioni. Se lo schiavo ha un limite basso quando lo raggiunge smetto e procedo in modo che il gioco lo decida io. Capita che lo schiavo a volte voglia «andare oltre» le sue paure. Io tendo a ascoltare nel mio ruolo il suo il volere di schiavo ma sono molto attenta ai limiti. Preciso che per me non vi è mai sesso in questi contesti. Mi piace il gioco e non avere a che fare con persone squilibrate.

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3. Iniziare come sottomessa

The Daily Beast riporta la testimonianza di Charlayne Grenci, che ha scritto il memoir Queen of Domination: my secret life. Viene chiamata Mistress Carla e negli anni ’80 la sua storia divenne di dominio pubblico per ragioni legali. Ha iniziato come sottomessa per poi diventare dominatrice, facendosi pagare per i suoi servizi – e talvolta senza la necessità di avere rapporti sessuali completi – e oggi è un’esperta di sesso contattata perfino dalle università. All’inizio per lei fu un modo per scappare dalla routine, poi si appassionò alla psicologia dei clienti.

Mi ordinò di spogliarmi – dice del suo dominatore nella sua prima e unica esperienza da sottomessa – La sua voce era profonda, il mio corpo era scosso, non sapevo cosa aspettarmi. Mi trovavo al quinto piano di un appartamento dell’East Village, a New York, e per un’ora e mezza fui la schiava sessuale di un master semi-professionale, conosciuto tramite un amico. Mi ordinò di mettermi carponi mentre teneva un frustino in mano, poi mi bendò. Fu un’esperienza che volli fare per scappare dalla routine quotidiana, dalle responsabilità e dai problemi. È come dare voce a un alter ego che non emerge nella vita di tutti i giorni. È una vacanza mentale, molto terapeutica.

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