Uranismo e la teoria del terzo sesso: storia della dignità omosessuale
I tempi cambiano e anche le parole cambiano, per rispetto delle persone: ecco perché uranismo è un termine obsoleto per indicare l'omosessualità maschile.
I tempi cambiano e anche le parole cambiano, per rispetto delle persone: ecco perché uranismo è un termine obsoleto per indicare l'omosessualità maschile.
L’omosessualità, che in passato veniva chiamata appunto uranismo, solo nel 1990 è stata tolta dalla lista delle malattie mentali dal’Organizzazione Mondiale della Sanità, ma gli echi di questi primi approcci all’argomento restano purtroppo presenti nell’immaginario collettivo.
La Treccani spiega che il termine è stato coniato dal giurista tedesco C.H. Ulrich per indicare una parte dell’omosessualità maschile (o meglio, una determinata pratica con determinati ruoli relativi agli omosessuali maschi), che si credeva orientata in senso femminile: in altre parole, ci si riferiva a coloro che, durante il sesso, sceglievano di essere una parte “passiva” nella penetrazione anale.
Il nome viene dal dio Urano che sarebbe diventato omosessuale dopo aver ricevuto una mutilazione genitale: questo episodio non ha però nessun riscontro letterario o mitologico. C’è invece chi pensa che il termine sia stato coniato a partire dal nome di Afrodite Urania di cui si parla nel Simposio di Platone, protettrice degli amori omosessuali, come è riportato su Wikipink.
Secondo Ulrich, i sessi erano tre: maschile, femminile e terzo sesso. Colui che incarnava quest’ultimo veniva definito uranista ed era ritenuto dal giurista e i suoi seguaci
biologicamente diverso sia da quello maschile che da quello femminile – scrive Fabio Zanotti su Il gay, dove si racconta come è stata inventata l’identità omosessuale – differenze anatomiche, stili di vita, abitudini in fatto di abbigliamento, specifiche forme di tabagismo (l’uomo vero fuma il sigaro, mentre il “terzo sesso” la sigaretta!).
La diffusione del concetto di uranista fu però quasi subito superata da quello di omosessuale, creato sempre nella seconda metà dell’800 ma da Karl-Maria Benkert: il termine, che comunque era limitato alla sfera maschile, ignorando di fatto le lesbiche, non escludeva la virilità tra i maschi omosessuali.
L’uranismo ha un merito: quello di indicare una caratteristica innata. Benché l’omosessualità continuasse a essere confusa con un vizio e con una perversione sessuale, Ulrich sosteneva che si nasce uranisti, non lo si diventa. Purtroppo Ulrich però sosteneva anche che l’uranismo può essere curato, cosa che sappiamo non essere vera: si è gay o etero come si è biondi o bruni, è ciò che siamo, e anche se a volte i capelli li possiamo tingere questo cambia il nostro aspetto, non la nostra essenza.
Sostanzialmente l’uranismo confondeva concetti che oggi conosciamo e riconosciamo bene, come orientamento sessuale e identità di genere, e attribuiva all’omosessualità un carattere spiccato, quella che un tempo chiamavamo effeminatezza, un modello errato che spesso è stato percorso dalla cinematografia comica, da Il vizietto e The Producers.
Fino alla Seconda Guerra Mondiale, in molti continuarono a sostenere la tesi dell’uranismo: non a caso, i nazisti dedicavano una sezione a sé nei campi di concentramento agli omosessuali maschi, che erano contrassegnati dal triangolo rosa.
I primi attivisti del movimento gay all’inizio del ‘900 ebbero un grosso ruolo nel declino dell’uranismo, che però fu legato a una crescente consapevolezza negli studi sugli orientamenti sessuali. Non a caso, di lì a poco, sarebbe stata formulata la teoria della scala di Kinsey. E che fortunatamente ha rigettato concetti come quelli che si trovano nel volume di Marc-André Raffalovich, Uranism and Unisexuality, la cui prima pubblicazione risale al 1895:
L’omosessualità sta crescendo e crescerà. Possiamo curare duramente gli invertiti. L’ipnosi non è soddisfacente e il matrimonio è il peggiore dei rimedi, perché sacrifica la pace e la salute dei figli all’improbabile cura del padre e al suo dubbio ristabilimento. Ci sono già troppi invertiti e pervertiti che si sposano e che sono padri e ipocrite che si sposano per salvare l’onore di un omosessuale.
Su una cosa Raffalovich aveva parzialmente ragione: il matrimonio di un omosessuale con una persona del genere opposto non può essere una soluzione. Sono cambiate molte cose da quando quel libro è uscito e altre cambieranno, così che nessuno in futuro dovrà restare “chiuso nell’armadio”, nessuno dovrà nascondere il proprio orientamento con un matrimonio di facciata, come purtroppo accade ancora abbastanza diffusamente in alcuni Paesi del mondo.
Vorrei vivere in un incubo di David Lynch. #betweentwoworlds
Cosa ne pensi?